Dilaga la “Fear of Missing Out”, il timore di perdersi qualcosa, esasperato dall’uso pervasivo di smartphone e dispositivi elettronici. Tanto che ormai si parla di dipendenza.
Roma – Qualsiasi particolare della società ipertecnologizzata, oggi, viene sezionato, analizzato, studiato. Ora è il momento della… FOMO (Fear of Missing Out), ovvero “la paura di essere esclusi, di perdersi qualcosa”. E’ stata definita, anche, “la paura pervasiva che gli altri possano avere esperienze gratificanti dalle quali si è assenti”. Si tratta di un timore molto comune tra le generazioni. Basti pensare a quando da adolescenti si veniva esclusi da una festa o da un avvenimento importante e ci si restava male.
Oggi tutto questo si è esasperato e diffuso capillarmente grazie all’uso dei dispositivi elettronici, non riuscendo a stare lontano dal palcoscenico virtuale che sono i social. Nessuno riesce a sottrarsi al fascino ammaliante dello squillo di uno smartphone, come succedeva nella mitologia greca ai marinai di Ulisse al canto delle sirene! Pur non essendo ancora stata definita come un disturbo ossessivo, nel lungo periodo produce privazione del sonno, incapacità a concentrarsi e un calo motivazionale nel rispettare gli impegni quotidiani, studio, lavoro, famiglia. Finora il fenomeno è stato trattato con sufficienza, ma recenti studi hanno mostrato come sia un fenomeno vario che influenza i processi cognitivi e comportamentali, fino alla dipendenza.
Può avere un effetto importante sulla vita delle persone, in quanto può arrivare a causare ansia, stress e depressione. Le ultime segnalazioni hanno riguardato, finanche, individui che hanno iniziato a manifestare un forte calo della propria soddisfazione di vita. Un altro aspetto da non trascurare è l’isolamento. Nel senso che, all’apparenza, i social sembrano un valido strumento per canalizzare l’ansia sociale, un modo per riempire il vuoto dei bisogni insoddisfatti delle persone. E’ una risposta virtuale, che forse ancora non si riesce a gestire, ma che è molto meno incisiva, al momento, del rapporto “face to face” tra persone.
Agendo così, non si fa altro che accrescere la solitudine e innescare un meccanismo quasi compulsivo. Si tenta, infatti, di placarla con ulteriori controlli dei social, in un circolo vizioso che non può che produrre serie criticità psicologiche. In una ricerca effettata quest’anno, che ha avuto come oggetto di studio diversi Paesi, tra cui l’Italia, è emerso che i casi più consistenti di persone affette da “FOMO” hanno riguardato la fascia d’età tra i 18 e 35 anni. In pratica i cosiddetti “Millennials”, i nati tra l’inizio degli anni ottanta e la metà degli anni novanta e la Generazione Z, i nati tra i tardi anni novanta del XX secolo e i primi anni 2010.
I cosiddetti “nativi digitali”, abituati, da subito, a instaurare relazioni di qualsiasi natura attraverso i social. Tuttavia, non bisogna identificare la “FOMO” come una condizione giovanile, vista la rapida e capillare diffusione dei social anche tra le persone non più giovanissime. Poiché il problema è diventato cogente, sono state individuate terapie psicologiche per produrre una consapevolezza di sé, del proprio momento, che possono aiutare a non concentrarsi su ciò che succede sui social. Non vorremmo aggiungere al patimento di fame, quello di… FOMO!