Perfino le tecniche di cremazione sperimentano metodi green, nel rispetto del clima e dell’ambiente. Non senza, però, qualche criticità. Una di queste riguarda l’utilizzo di ingenti quantità di acqua.
Roma – Gli effetti nefasti della crisi climatica li conosciamo, ahinoi, a menadito. L’elenco sarebbe troppo lungo da stilare, ma comunque qualsiasi intervento utile a contrastarla riceve subito un facile consenso. Ad esempio, nel settore dei funerali e delle onoranze funebri, ci si sta industriando per il rispetto dell’ecosostenibilità ambientale. Come riporta il tabloid britannico The Guardian, anche i defunti ci possono dare una mano. Sarà – come diceva Totò, il principe della risata – che i deceduti sono persone serie perché “appartengono alla morte”, come recitava nella “A livella”!
Al di là di questo, c’è una tecnica di sepoltura considerata ecosostenibile. Si tratta dell’acquacremazione, definita in maniera rozza “bollitura in un sacco“, che richiama alla mente antiche torture medievali. Le indicazioni ci informano che il cadavere viene adagiato in posizione distesa (anche perché, per ovvie ragioni, eretto non riesce proprio a stare) in un macchinario, che viene, quindi, attivato per procedere alla misurazione del peso del corpo e della quantità di acqua e di idrossido di potassio necessari al compimento dell’idrolisi.
Una volta formatasi una soluzione di acqua e idrossido, portata a una temperatura di 152°C, il corpo del “caro estinto” viene inserito all’interno. Inoltre, dando tempo alla natura di seguire il suo percorso, questa soluzione scioglie prima i tessuti, poi gli organi. Tutto il processo dura circa un’ora. Infine, le ossa vengono raccolte, asciugate, sbriciolate, polverizzate e messe in un’urna da consegnare ai familiari del trapassato. Sembra quasi una filastrocca, come quella che pronunciò Totò “1000 lire al mese, vitto, alloggio, lavatura, imbiancatura e stiratura“, nel film “Un turco napoletano” del 1953.
Questa tecnica ha riscosso molta risonanza mediatica perché è stato il metodo di sepoltura scelto dall’arcivescovo Desmond Tutu. Per la cronaca, Desmond Mpilo Tutu è stato un arcivescovo anglicano e attivista sudafricano, che raggiunse una fama mondiale durante gli anni ottanta come oppositore dell’apartheid.
Tutu è stato il primo arcivescovo anglicano nero di Città del Capo, in Sudafrica, e primate della Chiesa anglicana dell’Africa meridionale. Pare che, secondo le stime riportate da The Guardian, questo nuovo tipo di sepoltura provocherebbe un sostanzioso risparmio energetico. Non solo, anche una forte limitazione dell’impronta energetica, abbandonata durante le pratiche funerarie dell’umanità.
La cremazione classica (molto consigliata negli ultimi decenni a causa della mancanza di spazio negli affollatissimi cimiteri italiani), con fuoco e fiamme, produce, difatti, all’incirca 245 kg di emissioni di anidride carbonica.
È stato calcolato che, ad esempio, nel Regno Unito, la produzione di emissioni di CO2 (anidride carbonica) delle cremazioni equivale a quella prodotta dai sistemi di illuminazione di 65 mila case. Una criticità che non sussisterebbe utilizzando l’acquacremazione.
Può essere verosimile e, per alcuni, gradito che le nostre città verranno sommerse da “acquatori“, così definiti gli impianti che offrono questo servizio in Canada, Sudafrica e negli USA. Un serio ostacolo potrà essere la carenza idrica in atto, dovuta ai cambiamenti climatici. Non si è lontani dalla verità, pensare che la crisi dell’acqua potrà diventare, anche in questo settore, fenomeno di business, in mano ad aziende senza scrupoli.