Il dissesto idrogeologico del nostro territorio, associato alla recente alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna con gravi danni materiali e perdite umane, è il risultato di una crisi strutturale che parte da lontano. Con il solito zampino di una certa politica miope e spesso complice.
Roma – Dall’inizio dell’anno si sono verificati 73 eventi estremi, tra cui piogge torrenziali, alluvioni e siccità. Fenomeni che rappresentano lo stesso problema. Dal 2010 l’Osservatorio Città Clima ha rilevato 831 Comuni colpiti e più di 1.600 eventi estremi. L’Osservatorio è un progetto che raccoglie e elabora informazioni sugli impianti e le infrastrutture, a cura di Legambiente, associazione sorta negli anni ’70.
L’alternarsi di siccità e alluvioni fa crescere il fattore rischio, con prospettive allarmanti sul nostro futuro. WWF Italia organizzazione ambientalista per la conservazione della natura, ritiene che il Belpaese ha bisogno di definire il Piano di Adattamento al cambiamento climatico. Coi disastri che si moltiplicano a vista d’occhio e l’atavica lentezza della burocrazia, si rischia di approvarlo a “babbo morto”. È infatti, inderogabile che vengano ridotte le emissioni di Co2 (anidride carbonica), metano e di altri gas climalteranti, se si vuole avere qualche possibilità di gestire il violento impatto. La gestione dell’acqua è fondamentale per il Piano.
Il “governo” dei bacini fluviali dovrebbe essere integrato e non frammentato in mille rivoli, com’è attualmente. Così si potrebbe riattivare la naturalezza dei fiumi, spesso vittime dei “controlli” dell’uomo, che causano danni e morti. La terapia più efficace per curare la fragilità del nostro territorio è rispettare la natura. I fiumi hanno bisogno di spazi. Invece gli alvei sono stati canalizzati, le zone dove una volta l’esondazione avveniva naturalmente, oggi sono occupate. I boschi ripariali, cioè l’interfaccia tra il terreno e il corso d’acqua che scorre in superficie, sono stati abbattuti. Così come le zone umide, vere e proprie spugne che allentavano gli eventi rovinosi. Il WWF, ha, spesso, denunciato in passato il pericolo incombente in Emilia-Romagna, che si è prodigata per… la distruzione degli ambienti.
L’adesione totale alla “cementificazione selvaggia” ha contributo agli effetti nefasti che sono sotto i nostri occhi. Il quadro, a livello nazionale, purtroppo, è sempre più a tinte fosche in quanto si continua a consumare suolo. La sua velocità di consumo ha superato la soglia critica di 2 metri quadrati al secondo per arrivare a circa 70 kmq di nuove coperture artificiali in un solo anno. La pensa allo stesso modo anche il Kyoto Club Italia, organizzazione non profit, costituita da imprese, enti, associazioni e amministrazioni locali, impegnati nella riduzione dei gas serra, come stabiliva il Protocollo di Kyoto.
Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club, ha dichiarato:
“La tragedia dell’Emilia-Romagna è solo l’ultimo segnale di disastri climatici globali. Serve agire subito, tra le priorità: prevenzione del dissesto idrogeologico, legge sul consumo di suolo e riduzione delle emissioni climalteranti. L’Italia è in ritardo rispetto all’Europa. Altri Governi fissano obiettivi più sfidanti per modernizzare l’industria. Siamo in una rivoluzione energetica, della mobilità e dell’edilizia. Non perdiamo l’occasione di migliorare la vita dei cittadini e l’occupazione”.
Ed invece pare che “mentre il medico studia, il malato… muore” come recita un antico motto contadino. Nel nostro caso, mentre associazioni e istituti di ricerca dispensano consigli per arginare la crisi climatica, il Governo volta il capo da un’altra parte, senza prendere provvedimenti strutturali. E il Paese va alla deriva.