Il vizietto della sinistra: bruciare i leader alla velocità della luce

Le sconfitte elettorali mettono a nudo le divisioni e le lacerazioni interne alla sinistra nostrana, minando la leadership e generando un processo di logoramento che va oltre la mera sconfitta delle urne. Condivisione e collegialità non sono imprecazioni ma sana gestione di un partito.

Roma – Ecco riemergere, ma non più di tanto, il noto vizio antico della sinistra: bruciare leader alla velocità della luce ma non solo. A seguire gli altri vizietti come quelli di ingaggiare lotte fratricide coi propri vicini di casa, spesso pure con i propri coinquilini, anziché preoccuparsi di trovare con questi una sintesi per battere gli avversari politici, usare pretestuosamente ogni appuntamento elettorale per regolare i conti al proprio interno. Così come sta accadendo, davanti agli occhi di tutti, a seguito del voto amministrativo di domenica e lunedì scorsi, in cui il Pd ha perso i ballottaggi in cui concorreva e le sfide elettorali siciliane. Sembra eccesivo, però, che per salvare Schlein si addossi, addirittura, la responsabilità a Letta. Reo, secondo Boccia – capogruppo alla Camera – di avere fatto le liste alle amministrative quando, invece, non era più al Nazareno. Questo è troppo.

La Elly che non piace più? Foto da Facebook

Lo stesso discorso vale per il segretario regionale del Pd siciliano, che sembra sempre sfuggente quando vi sono responsabilità da assumersi. Non si può sottacere e soffocare ogni critica. L’esito del voto amministrativo va analizzato e certo non si può ignorare la disfatta. Certamente approfondire la sconfitta nazionale, regionale ed ora amministrativa è necessario. Dato che di dimissioni non se ne parla, qualcosa va fatta. Non si può sempre vedere il bicchiere mezzo pieno.

Però non bisogna neanche eccedere nell’attribuire significati politici generali, perché in un voto amministrativo, per l’appunto, contano e pesano mille fattori locali, nella buona e nella cattiva sorte. In ogni caso il voto non avrebbe spostato di una virgola il baricentro politico pendente a destra nemmeno se il centrosinistra avesse trionfato ai ballottaggi e vinto le altre sfide in Sardegna, così come non l’ha spostato la scorsa primavera. Il centrosinistra, attualmente diviso, non ha speranza di contendere il governo del Paese alle destre sino a che non si unirà in una coalizione capace di arrivare anch’essa a lambire il 45% dei consensi.

Come ci si arrivi, a questo esito, con quale alchimia e con quali alleanze, non è attualmente dato saperlo, ma una cosa è certa: è difficile, se non impossibile, arrivarci senza un Partito Democratico che sia forte e baricentrico tra le istanze più riformiste e quelle più radicali. Su questo, anche oggi, non si può imputare alcunché ad Elly Schlein, che nei suoi due mesi di segreteria ha rafforzato il consenso al partito, portandolo sopra l’asticella del 20% e staccando nettamente il Movimento Cinque Stelle, cui molti commentatori avevano preconizzato la prossima egemonia del campo progressista, a inizio legislatura, complice la guerra di Giorgia Meloni al reddito di cittadinanza.

Cosa che probabilmente sarebbe avvenuta – e stava effettivamente avvenendo – senza l’inversione di tendenza impressa dall’elezione di Schlein. Ma i moderati-progressisti avvertono lo sbilanciamento verso sinistra ed anche questo è un problema. Non solo di equilibri interni, ma soprattutto di rappresentanza. La crescita, evidente e certificata del Pd, almeno nei sondaggi, non impensierisce neanche lontanamente Giorgia Meloni e la sua luna di miele con la Penisola. Ma anche in questo caso, forse, serve più pazienza che altro.

In ogni caso il vero sondaggio è stato quello elettorale, ogni altra considerazione è superflua. Giorgia Meloni stessa ha ondeggiato per anni tra il 4 e il 5 per cento prima di spiccare il volo. E lo stesso si può dire di Matteo Salvini nella sua esperienza di segretario leghista. A destra nessuno si è mai sognato di mettere in discussione la loro leadership dopo una tornata amministrativa finita male. Quanto sta accadendo a Elly Schlein, e già accaduto a Enrico Letta, a Nicola Zingaretti e allo stesso Matteo Renzi, è un processo di logoramento interno che fa più danni di una sconfitta elettorale.

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