Il vecchio adagio secondo il quale i soldi siano parte decisiva per la felicità dell’uomo è stato al centro di un’indagine scientifica. Ne sono scaturiti risultati molto interessanti e affatto scontati.
Roma – Negli ultimi tempi sono apparse numerose analisi sul fatto che: “i soldi fanno la felicità”, oppure “i soldi non fanno la felicità”. Com’è chiaro si tratta di due affermazioni in contraddizione tra di loro e vengono enunciate a seconda della situazione del momento. Per dirimere la faccenda che, estremizzata, non fa altro che produrre due fronti contrapposti e inconciliabili, ci ha pensato la scienza, che tutto sa e tutto spiega. In questo caso ha deciso di estendere le sue conoscenze e i suoi metodi su un argomento da cui scaturiscono forti diatribe.
Gli arguti studiosi più che chiedersi se “I soldi fanno o non fanno la felicità?” si sono posti un altro quesito. Ovvero: “Qual è l’ammontare di soldi che possa dare la felicità?”. Ebbene, già nel 2020 un gruppo di scienziati partendo dai dati dell’Office for National Statistics e dell’Happy Planet Index hanno cercato di stabilire lo stipendio annuo idoneo per far condurre una vita felice a una persona. L’Office for National Statistics è un’agenzia governativa britannica che raccoglie, analizza e pubblica le informazioni statistiche sull’economia, la popolazione e la società nel Paese. L’Happy Planet Index, ovvero l’indice di felicità del Pianeta, è una misura del benessere e dell’efficienza ambientale di una nazione. Pur riguardando l’Inghilterra, lo studio potrebbe valere per qualsiasi nazione dell’occidente industrializzato.
Pare che la somma di 33.864 sterline, pari a circa 39mila euro annui, potrebbe essere la base da cui partire per risolvere l’arcano. I dati sull’argomento sono contrastanti, come l’argomento trattato. Una pubblicazione apparsa su Psychology Today, ha evidenziato, ad esempio, che i figli di genitori benestanti subivano un rischio maggiore di essere vittime di depressione, ansia, disturbi alimentari e uso di sostanze. Inoltre, con l’aumento della ricchezza si correva il rischio di essere meno etici ed empatici, in quanto non ci si preoccupava dei sentimenti e dei problemi degli altri. Si tratta di scoperte eccezionali, peraltro apparse su un periodico bimestrale statunitense, gestito dall’American Psychological Association, la più grande associazione di categoria per psicologi.
Inoltre, la pubblicazione, prima di essere diffusa, è approvata dal Nation Board for Certifield Counselors, organizzazione internazionale di certificazione. Quindi stiamo parlando di riviste ed enti prestigiosi. Un’altra ricerca, condotta dagli psicologi dell’Università della California di Berkeley e San Francisco, ha fatto emergere che, invece, le persone con redditi più bassi manifestavano più empatia ed erano capaci di interpretare meglio le espressioni facciali. E si ritorna al punto di partenza. Tanta “materia grigia” investita per dimostrare che possono essere vere entrambe le enunciazioni. Bastava chiedere alla “casalinga di Voghera” come si soleva dire una volta e le conclusioni sarebbero state identiche.
La “casalinga di Voghera” è una locuzione usata dal lessico giornalistico, con cui si vuole indicare una virtuale casalinga di provincia, la cui figura è la rappresentazione stereotipata di una fascia di popolazione piccolo-borghese del secondo dopoguerra, con un grado di scolarità molto basso e un’occupazione assente o di livello modesto. Tuttavia, tale figura, è stata considerata con un certo grado di “rispettabilità” per il suo senso pratico di stampo tradizionale. Alla fine della giostra, quindi “i soldi fanno o non fanno la felicità?”. Dipende dai punti di vista…