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Matrimonio arduo nell’opposizione. Intanto parte la gara per le poltrone

Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte sottolinea l’importanza di trovare punti comuni con il PD per contrastare il Governo Meloni sul piano delle riforme. Ma un’alleanza nell’opposizione è lungi dal formarsi.

Roma – Continuano le prove di forza tra Pd e M5S. Per le alleanze d’altronde non c’è fretta. Infatti per Conte non c’è una concreta prospettiva verso una confederazione, cioè per un’alleanza strutturale tra i due partiti di opposizione. Per i “contiani” è molto importante che forze progressiste conducano battaglie di frontiera, per esempio sul salario minimo. “Pertanto noi continuiamo per la nostra strada” ha affermato l’ex premier. In sostanza, Conte afferma che la convergenza politica non può essere solo elettorale, ma deve essere su obiettivi condivisi. Non può esserci un compromesso al ribasso. Fughe in avanti in questo contesto sembrano molto insidiose.

Su alcuni temi come il salario minimo, il Pd sta raggiungendo posizioni che noi già avevamo da tempo, anzi sono nostri cavalli di battaglia. Su altre posizioni non abbiamo registrato un effettivo cambiamento, come sul conflitto russo-ucraino e anche per quanto riguarda le tecnologie ecosostenibili, parlo di inceneritori che per noi sono banditi” spiega Giuseppe Conte.

Giuseppe Conte, ex presidente del Consiglio.

La diversità non unisce, anzi sbarra il cammino delle riforme e in prospettiva è fallimentare. Infine, ancora si registra la violenza dei No Vax nei confronti di Conte nel periodo pandemico. Le forze dell’ordine hanno fatto il possibile per evitare qualunque forma di aggressione, ma l’aggressore si è avvicinato, fingendo di dare la mano all’ex avvocato del popolo. “È un gesto inaccettabile. Quando il dissenso sfocia nell’aggressione fisica è deprecabile” ha spiegato Conte, il quale ha anche ricevuto minacce di morte.

Secondo il leader del M5S, si sta andando oltre e dopo la disastrosa stagione berlusconiana delle leggi ad personam, si stanno, in pratica, introducendo leggi contra personam e anche quegli incarichi che dovrebbero essere sottratti allo spoils system, come ad esempio Inps e Inail, sono invece volgarmente aggrediti con norme ad hoc. Il leader pentastellato ha evidenziato che “alcuni incarichi pubblici, soprattutto se svolti bene, dovrebbero essere presidiati nella loro autonomia”. Dimentica però che proprio lui quando era presidente del Consiglio durante il Governo giallo-verde, ha silurato Tito Boeri, a fine mandato, da presidente dell’Inps, nominato in precedenza dal governo Renzi.

Tito Boeri davanti al Bosco Verticale di Milano.

Tutti ricordano ancora gli scontri tra Boeri e il M5S e la Lega sugli effetti di alcune riforme e bonus lavoro concessi da quel Governo. Intanto, il Cnel, l’organo previsto dalla stessa Costituzione sopravvive a tutto e a tutti, nei suoi sfarzi e nella sua dubbia utilità. Basti pensare che la sua sede, Villa Lubin, è un interessante esempio dell’architettura romana del primo ‘900. O che per descrivere le sue funzioni non si risparmiano grandi appellativi: “organo di consulenza delle Camere e del Governo”, con anche “funzione legislativa che può contribuire all’elaborazione della legislazione economico-sociale”.

Nei fatti, quella che doveva essere una cerniera tra economia e politica, negli anni è diventato una sorta di “pensatoio alto”, per usare un eufemismo, che poteva essere abolito già nel 2016 con il referendum sulla riforma costituzionale proposto da Matteo Renzi, ma venne salvato dalla vittoria dei “no”. E che ora la presidente del Consiglio Giorgia Meloni vorrebbe “rilanciare” come luogo di confronto tra le parti sociali sul tema del lavoro. È iniziato il valzer delle poltrone senza alcuna polemica o distinguo ideale e valoriale. Tutti cercano di accomodarsi e trovare spazio. Le ombre si allungano, nonostante si faccia credere che si eliminerà il Cnel, un carrozzone costosissimo. Questa potrebbe, per esempio, essere considerata una pubblicità ingannevole.

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