La tragedia dei giovani che si tolgono la vita per la vergogna di non riuscire a tenere il passo con gli studi universitari. La necessità di maggiore consapevolezza degli atenei per prevenire queste morti. Occorre più vigilanza da parte dei genitori.
Roma – Mi vergogno a vivere. È quasi un’ecatombe. Decine di ragazzi e ragazze perfettamente sani e con un futuro davanti si suicidano. Vessati da sé stessi, isolati nel segreto della loro dialettica interna, si condannano a morire senza appello, senza contradditorio.
Il mese scorso uno studente di Medicina di Chieti si è tolto la vita perché credeva di non poter sopportare lo sguardo dei suoi genitori nel confessare che la laurea era ancora lontana e gli esami non erano mai stati sostenuti. La sorella ha trovato il corpo impiccato a una porta di casa il 7 aprile scorso e ha subito chiamato aiuto. Il ragazzo però all’arrivo del 118 era già morto. La vergogna legata alla temporanea mancanza di autostima l’avrebbe spinto a commettere il gesto estremo, uscendo dalla scena della tragedia da lui stesso creata, lasciando i suoi affetti attoniti. I due, fratello e sorella, vivevano assieme nel quartiere di Chieti Scalo. Lui aveva 29 anni ed era originario di Manduria, in Puglia.
La spiegazione del gesto sarebbe stata espressa dal giovane in un blocco note di 42 pagine ritrovato nella sua stanza al momento del sopralluogo degli agenti di polizia. In quelle righe il ragazzo avrebbe raccontato il senso di colpa provato per lo scarso rendimento universitario e per le bugie raccontate sugli esami mai sostenuti. Un lungo calvario interno dunque durante il quale il ragazzo avrebbe accumulato e stratificato nel suo cervello il senso di fallimento e il vedersi sfilare tra le dita una via d’uscita, che si allontanava sempre di più. Nel dialogo tra sé stesso e quei fogli, che cementavano piuttosto che contraddire i suoi pensieri, il silenzio è stato interpretato come assenso per consumare quel terribile gesto.
Il caso di Chieti però è solo uno dei tanti suicidi che, nell’agghiacciante solitudine di quelle morti, urla un disagio enorme che pervade i nostri giovani. In particolare i casi riportati in questo articolo, evidenziano la necessità di una maggiore consapevolezza degli istituti di studio in cui quei giovani passano le loro giornate per portare avanti azioni mirate. Il filo conduttore è sempre lo stesso: bugie sugli esami e insostenibilità del peso di quella vergogna.
A inizio febbraio una ragazza di 20 anni si è impiccata allo IULM di Milano. Anche qui pochi dubbi sull’origine del gesto. Nel foglietto che ha lasciato chiede perdono ai familiari e fa riferimento sia a fallimenti personali che nello studio.
Nell’ottobre 2022 un giovane di 23 anni ha organizzato la sua finta festa di laurea, ma rimasto indietro con gli esami e non reggendo il peso di quello che considerava un fallimento, si è gettato nel Reno a Bologna. Il suo corpo è stato scoperto nel giorno in cui avrebbe dovuto discutere la tesi.
Sempre a Bologna, nel 2021, uno studente di Economia si è suicidato volando giù dal ponte Stalingrado. A Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, Diana, a cui mancava un esame di Latino, per la laurea in Lettere moderne, dopo aver aver comunicato a tutti la falsa data di laurea, a marzo 2023 si è suicidata.
Nel novembre 2022, Riccardo, 26 anni, aveva deciso di schiantarsi con l’auto tra Padova e Abano Terme. Aveva annunciato la data della laurea in Scienze infermieristiche ma non aveva terminato gli esami. Sull’asfalto non è stato trovato nessun segno di frenata.
I primi di febbraio di quest’anno, una giovane di 19 anni si è impiccata nei bagni dell’Università di Milano. In un biglietto manoscritto la giovane spiegava il gesto con la percezione fallimentare della vita e degli studi.
Sono solo alcuni episodi di una lista che sembra però allungarsi a dismisura. Quasi un invito, l’indicazione di una “strategia” per giovani che, nella fragilità di un periodo difficile, cercano una soluzione: la peggiore, perché condanna a sensi di colpa molto più pesanti tutti gli affetti ai quali il morituro, per mano propria, teneva tanto da non voler dare loro un dispiacere.
A causa della pressione sociale, dell’incertezza sul futuro, delle richieste performative e competitive della nostra società, il mondo universitario è diventato sempre di più un luogo di ansia e depressione. Se non peggio.