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La lenta agonia del Po sempre più in secca

Il fiume più lungo d’Italia è sfiancato e si sta progressivamente desertificando. Il Po è protagonista di una sciagura ambientale, il suo bacino si sta riducendo di giorno in giorno, tra l’indifferenza di una certa politica.

Roma – Il fiume Po è il fiume italiano più lungo, col bacino idrografico più esteso e quello con la massima portata alla foce: minima, media e massima. Nel suo scorrere accarezza un territorio pianeggiante, da cui deriva il nome di “Pianura Padana”. Per la posizione geografica, la lunghezza, il bacino e gli eventi storici, sociali ed economici che lo hanno riguardato sin dall’antichità, il Po è riconosciuto come il più importante tra i corsi d’acqua d’Italia. Non solo dal punto di vista geografico ma anche da quello culturale, cosi da entrare di prepotenza nel nostro immaginario collettivo.

È stato costretto a subire, ahimè, spettacoli poco edificanti, per non dire di peggio, come quando nel periodo che va dagli anni ’90 del secolo scorso al primo decennio del nuovo secolo, puntualmente, ogni anno, la Lega di Umberto Bossi ripristinava l’antico rito dell’ampolla del fiume Po per esaltare una fantomatica etnia padana. Però è stato anche protagonista di molti reportage, saggi e romanzi, il più conosciuto dei quali è senz’altro Il Mulino del Po, di Riccardo Bacchelli, pubblicato in tre volumi tra il 1938 e 1942, unificati nel 1957, da cui fu tratto uno sceneggiato televisivo di successo. Ora questo grande, in tutti i sensi, fiume, è diventato un ruscello, i cui greto e argini vengono utilizzati dagli appassionati di motocross, indebolendo il terreno ancora di più.

Il Po si sta prosciugando.

Mentre la classe politica locale, regionale e nazionale finge di non vedere lo sfacelo e volta il capo dall’altra parte. Una volta si poteva guadarlo solo in barca, oggi lo si fa a piedi. La siccità e il cambiamento climatico hanno reso possibile questo scempio. È non solo una sciagura ambientale, ma anche alimentare ed umana. Il fiume sta versando lacrime amare, che, in chi conserva ancora un briciolo di sensibilità, dovrebbero provocare commozione e angoscia. Invece negli aridi cuori delle istituzioni governative non suscita alcuna reazione. Ormai è diventato un rigagnolo d’acqua a causa di un uso insensato e irresponsabile. Alcuni ricercatori del Politecnico di Milano hanno effettuato delle riprese coi droni, documentando la… desertificazione del fiume.

Intanto i politici, a tutti i livelli, cianciano di transizione ecologica e non prendono atto di nessuno studio o ricerca al riguardo. Non si recano in loco quando ce n’è bisogno, per rendersi conto a che punto si è giunti. Probabilmente non sanno nemmeno dove sia il fiume Po, si confondono con l’avverbio di quantità: po’, o forse neanche con quello, vista la loro ignoranza nella grammatica e nella sintassi! Però, le autorità costitutive alzano il loro culo dalle poltrone quando succede qualche esondazione, in cui fingono di impietosirsi, manifestando con paludata e mielosa retorica vicinanza alle popolazioni colpite dai disastri e promettendo rapidi interventi. Mentre è risaputo che la prevenzione, la cura e la salvaguardia del territorio risparmierebbe molte vite umane.

La politica sembra disinteressarsi ai problemi ambientali.

Ancora una volta ha trionfato la visione antropocentrica della società, la nostra insipienza, il nostro modello di sviluppo economico, che, alla fine della fiera, oltre a tante illusorie comodità, ha prodotto solo danni materiali. Ma noi esseri umani, ormai sordi al richiamo della natura, siamo vittime di una sorta di coazione a ripetere “Continuiamo così: facciamoci del male”, tanto per citare la famosa frase di un film di Nanni Moretti, Bianca, del 1984. Ecco, continuiamo così: il precipizio è vicinissimo.

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