Italia, primato nel riciclaggio…Quello giusto. Ma occorre fare di più

Il Bel Paese è al primo posto in Europa per i materiali riciclati. Ma restano alcune zone d’ombra: impianti inadeguati e rifiuti esportati di ogni tipologia. Da quelli speciali ai tossici e nocivi. Radioattivi compresi.

Roma – Siamo primi in Europa nel riciclo. No, non si tratta di riciclaggio di denaro sporco, a cui siamo abituati per la radicata presenza della criminalità organizzata. Siamo primi, in Europa, per il tasso di riciclo e secondi per la circolarità, cioè il materiale riciclato e reintrodotto nell’economia. Le note dolenti sono, però, l’inadeguatezza degli impianti, soprattutto al Sud e i troppi rifiuti esportati. Nelle scorse settimane è stato presentato l’annuale studio “L’Italia che Ricicla”, a cura di ASSOAMBIENTE, l’Associazione delle imprese operanti nel riciclo, recupero e smaltimento rifiuti.

I dati riferiti al 2020 ci dicono che si è raggiunti la percentuale dell’83,2% per tasso di avvio al riciclo, sia per i rifiuti urbani che speciali. Per quanto riguarda la circolarità, ovvero il materiale riciclato reimmesso nell’economia, l’Italia occupa il secondo posto, col 21,6%, dopo la Francia e prima della Germania. Però, c’è molto da lavorare per far diventare l’industria del riciclo la base fondante dell’economia italiana. Per quanto riguarda gli impianti, la Germania ne possiede più di 10mila attivi, mentre noi raggiungiamo il secondo posto, prima della Spagna.

Apparentemente un dato confortante, ma se si guarda a fondo, emerge che la gran parte degli impianti sono di media e piccola dimensione e localizzati quasi tutti al Centro-Nord. Questo perché vi è diffuso il comparto manifatturiero, per cui i materiali di recupero possono essere, con agevolezza, riutilizzati. Le esportazioni di rifiuti continuano a essere elevate. Solo nel 2020 sono state inviate ben 4,2 milioni di tonnellate all’estero, dove vengono indirizzate al recupero.

È ovvio che, con l’aumento dell’impiantistica, crescerebbero i volumi di rifiuti riciclabili e recuperati in loco. Si potrebbe, così, incrementare la capacità di tutto il sistema produttivo di far fronte alla cronica carenza di materie prime e innestando un circolo virtuoso per la produzione di posti di lavoro e per la transizione ecologica. Da questo punto di vista, il nuovo Governo sembra fare orecchie da mercante, nel senso che, pare, più interessato alle trivellazioni che al resto. Oltre a questi aspetti che frenano la crescita, il rapporto ha evidenziato la criticità rappresentata dall’aumento dei costi energetici, che non risparmia nemmeno le aziende del riciclo.

Secondo ASSOAMBIENTE è necessaria la completa adozione degli strumenti economici che riguardano la Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, allo scopo di rendere concorrenziali i materiali riciclati nei confronti delle materie prime vergini. Si tratta dell’adozione di un nuovo sistema di tracciabilità digitale dei rifiuti, di incentivi fiscali, dell’utilizzo di materie prime secondarie, del diritto al riutilizzo e alla riparazione. Inoltre – sempre secondo ASSOAMBIENTE – sono urgenti le norme tecniche per la regolamentazione del settore e per la creazione di un mercato stabile e trasparente.

Tali norme riguardano l’End of Waste (fine dei rifiuti), i sottoprodotti e i Criteri Ambientali Minimi per le gare pubbliche. Una domanda pubblica ed effettiva di prodotti riciclati è il fine ultimo che tiene in piedi tutto il processo. Ora, in tutta questa disamina stride l’assenza degli effetti devastanti per l’ambiente, causati dall’intervento delle varie criminalità organizzate nella gestione e smaltimento dei rifiuti di tutti i tipi, come la cronaca, purtroppo, ci dimostra. Se si sono inserite in tutti i gangli della vita sociale ed economica, com’è pensabile che che non lo facciano anche nell’economia circolare? Le istituzioni sono pronte a contrastarle? I fatti dicono il contrario, ma saremo felici di essere smentiti!

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