L’Italia numero 1 per le morti sul lavoro

La sicurezza nelle aziende è ancora al di là da venire e gli incidenti sul si moltiplicano a ritmo crescente. E’ doveroso per gli imprenditori investire sulla tutela dei lavoratori. Il ritorno c’è ed è duplice: in vite umane e dal punto di vista economico. Un dipendente al sicuro lavora meglio e produce di più.

Roma – Morti sul lavoro: la strage continua! Il lavoro, la categoria che, da secoli, rappresenta il focus intorno a cui gira la vita degli individui e della collettività. Una sorta di dannazione perché se manca provoca una serie di disagi che possono portare anche a scelte estreme, come il suicidio. Quando c’è, il rischio è di morirne per infortunio. Il mese scorso si è tenuto a Bologna il convegno: “Per non morire lavorando”, a cura dell’ufficio per la Pastorale del mondo del lavoro dell’Arcidiocesi di Bologna.

L’Italia detiene un primato, di cui non bisogna esserne fieri, di decessi per incidenti sul lavoro. Al convegno è intervenuto il presidente della Cei, Matteo Zuppi, secondo cui “le gare al ribasso, qualche volta sono un’istigazione a delinquere” riferendosi agli appalti pubblici che spesso vengono aggiudicati da imprese che non fanno della sicurezza la loro condizione fondamentale. La tragedia non è solo per chi ha lasciato questa vita, ma anche per i superstiti. Non si tratta di mere statistiche, ma di situazioni drammatiche capitate a persone in carne ed ossa.

Il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI

Per i familiari dei defunti è come con la guerra: sono loro che si portano dentro le lacerazioni dei sopravvissuti. Il presidente della Cei ha rimarcato che bisogna lottare contro le cause e le responsabilità e, soprattutto, contro la logica del profitto ad ogni costo. Ma non solo, a volte anche la disperazione di chi accetta di lavorare a queste condizioni sono un rischio reale. In questa Italia dominata dai furbi e dai profittatori il nodo cruciale è la mancanza di controlli e il fatto che non vengono premiate le aziende che rispettano le regole rispetto a quelle che non lo fanno.

La sicurezza è la conditio sine qua non, ma il problema non è legiferare nuove leggi perché, forse, ne abbiamo fin troppe. Il vero vulnus è la carenza di applicazione, tant’è che la manutenzione, i controlli, la serietà e il rigore sanno molto di approssimazione. La complicità è il non attuare le condizioni previste dalla legge. Perché in questo modo si diventa conniventi, così come anche le omissioni giocano un ruolo decisivo.

Più sicurezza sul posto di lavoro

Zuppi si augura che su questi temi ci sia “un’alleanza tra istituzioni, chiesa, sindacato e società civile” E, soprattutto, la cancellazione del concetto di “fatalità” che diventa giustificazione, quando, invece ci sono delle precise responsabilità e coperture da svelare. Non è accanimento ma sete di giustizia. E se le nuove tecnologie, per quanto riguarda la sicurezza, possano dare una mano sostanziale, ma prevedono forti investimenti è il caso di farli. Perché in una società moderna, civile, democratica e, soprattutto, fondata sul lavoro, come recita la nostra Costituzione, non si può morire per esso. E’ un crimine e va combattuto!

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