La ‘ndrangheta: le origini e l’ascesa dell’impero criminale che si è comprato il mondo. Continua la guerra senza quartiere all’organizzazione più ricca e pericolosa a livello globale. Mentre la stampa non può parlare perché non è più cane da guardia ma pecora da gregge.
Reggio Calabria – La ‘ndrangheta è sempre stata una struttura criminale sui generis, complicata da indagare e difficile da combattere. La riservatezza è alla base dell’organizzazione che vede affondare le proprie radici nella campagna e nel cattolicesimo. I silenziosi borghi dell’Aspromonte come San Luca e luoghi ricchi di tradizione religiosa come il Santuario della Madonna di Polsi fanno da culla alle ‘ndrine, ben lontane dalla mafia da salotto palermitana, più borghese, o dalla sciorinante camorra campana. L’istrionico Cutolo della NCO regalava veri e propri show dietro le sbarre ingolosendo i media, mentre gli storici boss della ‘ndrangheta come Antonio Pelle appartenevano alla terra, al proletariato. Sequestri e sparizioni nell’Aspromonte e poi la miniera d’oro bianco, la cocaina; l’organizzazione bruzia divenne ben presto pronta a ritagliarsi il proprio posto nel mondo.
L’aura quasi mistica che aleggiava intorno alla ‘ndrangheta permise a quest’ultima di rimanere nascosta, persa nella chiaroscura omertà criminale che confonde, che non permette di collegare i fatti, di trovare piste. Il 15 agosto del 2007 il pianeta del crimine organizzato però cambia per sempre. C’è la strage di Duisburg con i suoi sei morti. La prima volta in cui si spara all’estero. A provocare il fattaccio era stata proprio una faida fra clan criminali: i Pelle-Vottari e i Nirta-Strangio, i cui esponenti furono gli autori dell’agguato. La ‘ndrangheta sbarca sui quotidiani internazionali. La mafia uccide anche in Germania. Il mondo è testimone di una guerra di ‘ndrangheta. La cortina fumogena ascetica attorno all’organizzazione si dirada rivelandone la vera potenza all’opinione pubblica globale.
Alcune uova s’infrangono contro le pareti del circolo Arci gestito da Domenico Pelle, così nasce la sanguinosa faida di San Luca. É il 10 febbraio del 1991 e i responsabili della bravata sono ragazzi vicini al clan Nirta-Strangio, i due giovani vennero puniti con un crudele pestaggio. Esponenti del clan organizzarono dunque una spedizione punitiva ai danni di un affiliato ai Vottari, quest’ultimo alla vista dei sicari, preso dal panico, sparò diversi colpi di pistola uccidendoli entrambi.
La faida continuò a insanguinare i borghi dell’Aspromonte fino al ’93. Nel 2006 dopo un lungo silenzio il clan Pelle decise di servire il piatto freddo della vendetta. Un agguato al boss rivale Giovanni Nirta, ma ad avere la peggio fu la moglie, Maria Strangio. Così si arriva a Duisburg. Esponenti del clan Nirta-Strangio sparano fuori da un ristorante italiano in cui probabilmente era in corso un’affiliazione. Uccidono sei persone e si danno alla fuga.
Nonostante il clamore mediatico di quel periodo, la radicata cultura della riservatezza permise alle ‘ndrine di continuare a proliferare, accumulare ricchezze e comprare pezzi di Stato. Ieri come oggi. La politica troppo spesso connivente infatti permetteva, e permette ancora, l’indiscriminata permeazione della criminalità nel tessuto sociale. Appalti, tangenti e opere pubbliche, i soliti fallimenti all’italiana. In questo fosco panorama di terrore si inserisce con ruolo determinante il magistrato inquirente Nicola Gratteri. Guerra alle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Nord Italia, indagini a tappeto sul traffico di droga legato alle ‘ndrine con New York e con l’America latina, poi la nomina a Procuratore di Catanzaro nel 2016. La situazione cambia da cosi a cosi.
Nel 2019 arriva il primo miracolo. L’operazione “Rinascita Scott” porta a 334 arresti nell’ambito della ‘ndrangheta vibonese, e permette la realizzazione del primo Maxi processo alla ‘ndrangheta. A Lamezia viene costruita appositamente un’aula bunker che ospiterà il processo in corso fino al giudizio. L’accusa intanto vanta di già l’arresto di 70 indagati giudicati con il rito abbreviato.
La mattina del primo settembre scorso le sirene infrangono il silenzio dell’ancora sonnolente cosentino. Alle ore 4 Scatta il Maxi blitz, ben coordinato e anticipato in diverse località della provincia di Cosenza, porta a 202 arresti tra cui il sindaco di Rende Marcello Manna. L’operazione denominata “Sistema” fa tremare anche la politica, secondo le dichiarazioni del Gip infatti a Rende la situazione è decisamente critica. “…Manna, – si legge nell’ordinanza – oltre che sindaco, è avvocato penalista, e tale posizione qualificata determina una maggiore consapevolezza non solo dei soggetti con cui interloquiva, ma anche dell’illiceità degli accordi…”.
Accordi stretti con la cosca D’Ambrosio che per la Procura hanno senza dubbio influito sulla presunta illecita nomina del sindaco ed hanno favorito l’attività estorsiva, di spaccio e usura del clan. Grazie a Pino Munnu, ex assessore ai lavori pubblici, i D’Ambrosio potevano contare su un filo diretto per arrivare all’ex-sindaco. Con le intercettazioni ambientali e telefoniche tra gli esponenti della ‘ndrina e l’ex assessore si può dipingere facilmente un panorama a dir poco scioccante:
“…Ti ho fatto la campagna, le promesse sono promesse… ora dato che siamo io e te, vieni che te lo ricordo all’orecchio…”. E ancora: “…Deve mantenere le promesse… io gli garantisco i voti… lui deve dire si o no, alle cooperative. Lui prende 20 famiglie, gli deve dare 20 posti di lavoro…”. E cosi via di questo passo.
Non solo promesse di posti di lavoro tramite le cooperative, la corruzione ovviamente arrivava sino alle opere pubbliche. Nel corso di un’altra intercettazione veniva a galla un affare che riguardava appalti destinati alla riqualificazione del Palazzetto dello Sport. Massimo D’Ambrosio, fratello del boss Domenico, avrebbe raccontato alla moglie dell’incontro con l’ex sindaco. L’oggetto della discussione riguardava, appunto, il succulento appalto:
“…All’epoca (Manna, ndr) ha detto… all’epoca non l’abbiamo potuto fare un’altra gara ha detto… se ti dico che tutti i giorni veniva la Dda qua… l’abbiamo dovuto chiudere questo cazzo di coso… mai lo chiudevamo e mai ce li cacciavamo di dosso… se ora ci vuoi tornare ha detto… ora io faccio la gara apro il bando… lui (il boss Adolfo D’Ambrosio, ndr) gli ha detto voglio la gestione… ci voglio fare il bar… il tabacchino… ha detto… portami questo qua e poi vedi che c’è pure… che puoi fare quella… una legge che adesso scade però fra poco che finisce aveva fatto già il governo prima… precedente… quella “Resto al sud” si possono avere cinquantamila euro a persona… trentacinquemila euro a fondo perduto… e gli altri li dovete… in otto anni… tu prepara ha detto la cosa il commercialista… poi noi alla Regione… questo ha detto lo possiamo fare in famiglia…”.
Le infiltrazioni malavitose nel tessuto sociale della collettività quando spuntano fuori sono sempre feroci e crudeli. Nonostante una delle cause dell’aumento della povertà siano appunto le mafie che affamano i poveri e tengono gli imprenditori per i coglioni, la politica non ne parla. Non si parla mai di guerra alla ‘ndrangheta o alle mafie in generale. L’allarme viene lanciato anche dal segretario generale del sindacato di Polizia Coisp Domenico Pianese che dichiara:
“…L’operazione di oggi dimostra tutta la pericolosità della ‘ndrangheta, che è l’organizzazione criminale più pervasiva e temibile a livello internazionale. Spiace constatare la totale assenza del tema della lotta alle mafie nel dibattito elettorale in corso…”.
L’opinione pubblica invece è tenuta sotto scacco dalla “legge Bavaglio” sulla presunzione d’innocenza fortemente voluta dal Ministro Cartabia e non solo. L’attuale normativa rende molto più complicato raccontare al cittadino i dettagli delle operazioni di polizia, l’attività della magistratura, i particolari sui presunti colpevoli e le loro implicazioni nelle indagini. Su tale argomento si esprime ancora Nicola Gratteri, da solo. Nessuno dei colleghi a fargli da eco. Dopo essersi rifiutato di fornire dettagli alla stampa per non essere indagato il procuratore antimafia sprona alla lotta per cambiare la corrente riforma: “…La stampa è potente ed ha potere. Chiedete ai vostri editori di dire ai referenti politici di cambiare la legge…”. Gireremo l’invito non solo a loro. Grazie Nicola.