Il timore che il nuovo governo italiano possa partorire un’esecutivo anti occidentale serpeggia tra i banchi di Bruxelles. Insomma i Paesi dell’UE hanno paura del neofascismo italiano. Ma davvero si può essere cosi stupidi?
Roma – Dopo le recenti missioni del premier Draghi a Washington e a Kyiv insieme al presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz, ora c’è timore. Il governo italiano è osservato speciale dall’Europa. La preoccupazione riguarda l’eventuale vittoria di forze politiche che hanno avuto posizioni ondivaghe nei confronti della Russia, e in grado di compromettere l’unità europea ed occidentale. L’uscita di scena del Premier italiano mette in discussione un lavoro molto efficace di partnership dell’Italia con gli alleati europei come Francia e Germania. Obiettivo perseguito da molti governi precedenti ma che con Draghi aveva subito una decisa accelerazione.
In particolare va ricordata la firma del Trattato del Quirinale tra Roma e Parigi, che coordina l’azione delle due capitali a livello europeo. Importanti anche le discussioni in corso per un Piano d’Azione italo-tedesco, che dovrebbe individuare una serie di ambiti specifici di collaborazione tra i due Paesi.
La loro attuazione sarà certamente legata al lavoro delle amministrazioni dei tre Paesi, ma è chiaro che un efficace coordinamento dipende in larga misura dal capitale politico dei vertici dello Stato, che Mario Draghi non potrà più garantire. Dal punto di vista delle politiche i prossimi mesi saranno cruciali per l’attuazione del PNRR. Esso è vincolato ad una serie di riforme pesanti come quelle della concorrenza e della giustizia, così come una serie di scadenze pressanti per la realizzazione dei progetti in cantiere.
Resta il dubbio che un governo dimissionario incaricato solo degli affari correnti, sebbene dentro un perimetro ampio come quello evocato dal Capo dello Stato, riesca a tenere il ritmo e soprattutto che il nuovo o la nuova presidente del Consiglio riuscirà a gestire quest’impresa, considerati anche i possibili ritardi nella composizione del nuovo governo e le scadenze della legge finanziaria.
Insomma in Europa c’è fibrillazione per la situazione del governo italiano. Peraltro in questi mesi si apre anche il cantiere delle riforme europee, che vanno dal ripensamento delle regole finanziarie al completamento della “governance economica”. Tetto al prezzo delle importazioni del gas, misure per la transizione ecologica del Green Deal e politiche di migrazione e asilo sono altri temi scottanti.
Sono battaglie cruciali per il futuro dell’Europa e in molti a Bruxelles e nelle principali capitali speravano di poter contare sulla credibilità e la competenza di Mario Draghi per portarle a compimento. Tutto ciò spiega il motivo per cui l’Italia è considerata anello debole e come mai c’è tanta agitazione in Europa rispetto all’ennesima crisi del governo italiano.
Stavolta generata in piena estate e nel mezzo di una crisi internazionale senza precedenti. In sostanza si teme che l’Italia non sarà mai più quel partner affidabile che il governo Draghi aveva garantito.
Come sempre il Paese sopravvivrà, ma le speranze di riforme strutturali ambiziose andranno fortemente ridimensionate. Così come ridimensionata sarà la capacità di incidere in maniera significativa sulle principali partite internazionali che definiranno l’Europa e il sistema globale del prossimo futuro. Nel frattempo, diminuiscono le richieste di asilo nel territorio dell’UE.
Ad aprile, infatti, rileva Eurostat, sono stati 54.145 i cittadini di Paesi terzi a presentare la prima domanda di protezione internazionale. Un dato in calo del 28 per cento rispetto a marzo 2022, periodo in cui vi sono state 74.950 domande, ma tutto si spiega con la fine dei grandi flussi ucraini. Forse.