Con l’arrivo della campagna elettorale il tema migranti ritorna ad essere spremuto. In Italia nel lontano 2011 abbiamo creato il primo vero modello di inclusione sociale per migranti, il “Modello Riace”, ma è come se non fosse mai accaduto.
Che fine ha fatto il modello Riace? Riace grazioso borgo marinaro in provincia di Reggio Calabria, accarezzato da spiagge meravigliose e mare cristallino, è conosciuto in tutto il mondo per i famosi Bronzi, le imponenti statue di guerrieri ritrovate in mare nel 1972. Col nuovo secolo la sua fama si è rinnovata col cosiddetto “Modello Riace”. Ovvero un approccio all’accoglienza e al trattamento dei migranti rifugiati, voluto dal sindaco Domenico Lucano, nel quadro della crisi migratoria europea. L’anno di grazia era il 2011, quando circa 450 rifugiati, provenienti da 20 Paesi diversi, si stabilirono nel piccolo borgo di 1800 abitanti.
Una botta di rivitalizzazione che servì, quantomeno, ad impedire la chiusura della scuola del paese. Un processo di integrazione e inclusione che destò l’interesse della stampa internazionale. E non solo, il sindaco, nel 2010, si classificò al secondo posto nel concorso World Mayor (sindaco del mondo). Inoltre lo stesso primo cittadino è stato considerato da Fortune, una delle più prestigiose riviste economiche al mondo con sede a New York, come uno dei più grandi leader del mondo nel 2016, raggiungendo il 40° posto nell’elenco stilato dalla rivista.
Tutto questo invidiabile palmares, ad un certo punto della storia è stato offuscato dalla condanna in primo grado a 13 anni e 2 mesi di reclusione, ricevuta da Lucano nel processo Xenia, sui presunti illeciti nella gestione dei migranti. Tra le altre accuse: l’associazione per delinquere e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Lucano ha così dichiarato:
“…Mi aspettavo assoluzione piena...una sentenza pesantissima, non so se per reati di mafia ci sono sentenze così. Ho speso la vita contro le mafie, ho fatto il sindaco, mi sono schierato con gli ultimi, i rifugiati, immaginando di contribuire al riscatto della mia terra. Esperienza indimenticabile, ma oggi devo prendere atto che per me finisce tutto…”.
Queste dichiarazioni sono state fatte prima dell’appello, iniziato il 25 maggio. Il 6 luglio scorso, secondo i cronisti di giudiziaria, l’udienza decisiva. Pare che ci sia una registrazione in cui un funzionario della prefettura, tra l’altro autore di una delle relazioni decisive per l’accusa, dice testualmente: “…L’amministrazione dello Stato non vuole il racconto della realtà di Riace..”. Si tratta di una dichiarazione che, secondi gli avvocati della difesa, potrebbe cambiare il corso del processo. Se vere, sarebbero parole molto gravi, ma non esternate a caso. Sono state un tratto distintivo della politica di quegli anni.
Siamo nel 2017 e l’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti, ad inizio anno, si era recato in Libia per accordarsi col locale governo di unità nazionale per combattere gli scafisti e contrastare il traffico di esseri umani. Lucano ha sempre rivendicato il lavoro svolto in quello che lui ha definito: “Laboratorio per l’accoglienza“. Difendendo, finanche, alcune scelte, come quella di non allontanare i migranti alla scadenza dei sei mesi previsti dai regolamenti dei progetti d’accoglienza, che gli sono costate in parte la prima condanna. E’ sconvolgente la presunta imputazione di associazione a delinquere che avrebbe compiuto:
“…Un arrembaggio costituito di meccanismi illeciti e perversi, fondati sulla cupidigia e sull’avidità per prosciugare le risorse che arrivavano in paese per i vari e numerosi progetti di inclusione e accoglienza, mentre, il modello Riace veniva studiato nelle Università…”.
In linea generale in democrazia le sentenze si accettano e non si discutono. Chi ha sbagliato, siano Lucano o i funzionari prefettizi, dovrà dare conto alla giustizia senza, però, zone d’ombra. L’aspetto che più stride in tutta questa vicenda è che mentre si facevano accordi con governi illiberali e sanguinari, ad esempio quello libico per non far partire i tanti migranti tenendoli rinchiusi in veri e propri lager, c’era chi ha cercato coi fatti di accogliere e includere. Ma questo avrebbe infastidito, secondo l’intercettazione del funzionario prefettizio, il potere, quello losco, nascosto, che non ha mai apprezzato una narrazione di questo tipo. Il modello Riace non deve essere replicato. Che brutta storia!