Elezioni Sicilia – Il ribaltino di Conte e Letta

Mentre ci si prepara alle elezioni in Sicilia non si può che guardare con curiosità all’incrinarsi dei rapporti tra M5S e PD. A Roma l’alleanza è finita, nell’Isola il patto durerà? Per quanto tempo? Come un gatto in tangenziale?

Roma – Mentre continua la commedia sulla scelta del candidato del centrodestra, incancrenitasi sui favorevoli e contrari alla ricandidatura dell’uscente governatore Nello Musumeci e sull’eventuale election day, sul fronte opposto si sono concluse le primarie. Il risultato di queste ultime ha decretato che sarà Caterina Chinnici, eurodeputata del Pd, che ha ottenuto 13.519 voti, la candidata alla presidenza della Regione dell’area che include il Pd, il M5s, i Centopassi e partiti e movimenti di sinistra. La sottosegretaria all’Istruzione Barbara Floridia del M5s ha preso 10.068 voti, arrivando seconda. Claudio Fava, ultimo, ha conseguito appena 7.547 voti.

Caterina Chinnici

Ma l’ipotesi del “campo largo”, ovvero di una coalizione di centrosinistra con Pd e Cinque Stelle, in Sicilia, si fa sempre più debole e sembra più una chimera che un accordo federale preso in autonomia dai leader isolani, come affermato dal segretario nazionale dem. Il campo progressista deve fare i conti con quella che appare ormai un’insanabile spaccatura a livello nazionale tra Pd e M5s e bisognerà vedere se da qui alle elezioni regionali, la cui data non è stata ancora fissata, non ci saranno nuovi colpi di scena con la frantumazione del fronte che finora in Sicilia è sembrato, apparentemente, coeso sulla scelta di un candidato unico per contrastare il centrodestra.

Certamente sembra poco credibile un’alleanza in Sicilia quando c’è stata una netta divaricazione in sede nazionale tra gli ex alleati. Soprattutto dopo il ben servito di Letta a Conte, per avere avviato un percorso che è stato sfruttato da tutto il centrodestra senza nemmeno ipotizzare che, nei fatti, l’input è stato dato proprio da Draghi. Il Premier, pur avendo la fiducia parlamentare, ha inteso rassegnare le dimissioni a Mattarella che le ha respinte. Come in seguito è finita è noto a tutti, ma chissà come sarebbero andate le cose se questa mossa, forse intempestiva, non fosse stata fatta dal premier?

Vignetta Vauro Senesi

Probabilmente si sarebbe raccontata un’altra storia. In ogni caso, come si può notare dalle percentuali raggiunte dai candidati alle primarie, non vi sarà un lieto fine per l’intero centrosinistra se si presenteranno divisi. Non sono mancati nelle ultime ore attacchi a distanza tra i due leader giallo-rossi. All’indomani della caduta del governo Draghi, il primo a decretare lo strappo è stato Letta, che non ha perdonato al M5s il mancato voto di fiducia. Il Nazareno ha anche coniato uno slogan per l’occasione: “Italia tradita”. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Conte infatti è passato al contrattacco, tardi ovviamente:

“L’Italia è stata tradita quando in Aula il premier e il centrodestra, anziché cogliere l’occasione per approfondire l’agenda sociale presentata dal M5s, l’hanno respinta umiliando tutti gli italiani che attendono risposte”.

Giuseppe Conte ed Enrico Letta

In sostanza secondo Conte sulla fine del governo Draghi c’è una diffusa ipocrisia perché “…Si prova a scaricare la colpa sul M5s, che ha solo chiesto di risolvere alcune criticità ed è un’infamia dire che ha tradito…” – ha affermato il leader grillino. Il fatto, però, che fa infuriare più di tutti Conte è quando Letta e il Pd definiscono con arroganza un perimetro di gioco stabilendo anche, arbitrariamente, chi è ammesso e chi no, come se avessero il monopolio del campo progressista.

Insomma, l’ipotesi del campo largo sembra, allo stato attuale, archiviata e si cercano altri alleati, ma fino a quando i dem terranno i piedi in due staffe, come per le elezioni in Sicilia, la credibilità sembra offuscarsi per lasciare il posto a strategie di comodo. Giocare due partite diverse, da parte del Pd in campo nazionale e per le regionali siciliane, purtroppo sembra un delirio a cui probabilmente porrà fine il solito Conte.

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