Dopo il delitto in caserma la vittima sarebbe stata trasportata nel bosco ancora viva dove veniva legata e abbandonata ad un’atroce agonia con un sacchetto sulla testa. Depistaggi, falsi verbali e abusi oltre al suicidio morte dell’unico testimone lasciato solo dalle istituzioni. Gli imputati reiterano la loro innocenza.
Cassino – Dopo un pugno alla tempia la ragazza veniva presa e sbattuta per la testa contro una porta fra le 11 e 11.30 del 1 giugno 2001. Cosi tramortita, ma ancora viva, Serena Mollicone é trasportata nel bosco dove veniva abbandonata ad una lunga agonia.
Il presunto assassino, innocente sino a revisione di Cassazione, sarebbe Marco Mottola, figlio dell’allora comandante della stazione carabinieri di Arce, Franco Mottola. Stante alla requisitoria del Pm Maria Beatrice Siravo, affiancata dalla collega Carmen Maria Fusco, Serena Mollicone è stata uccisa proprio in caserma.
La giovane si sarebbe dovuta recare a scuola dopo un appuntamento col dentista. Nei pressi del bar Le Pucchietelle, Serena avrebbe incontrato Marco Mottola con il quale si sarebbe soffermata a parlare a bordo della sua Lancia Y10 bianca. I due avrebbero iniziato a litigare, probabilmente perché la ragazza sapeva dell’attività di spacciatore di Marco e intendeva denunciarlo.
A questo punto la giovane sarebbe scesa dall’auto per allontanarsi ma avendo lasciato i libri sul sedile della vettura, Serena Mollicone avrebbe preso la strada della caserma per recuperarli.
Una volta entrata nella stazione, la ragazza era stata notata dal brigadiere Santino Tuzi che aveva descritto perfettamente il vestito che indossava ed altri particolari che avrebbero poi inchiodato la famiglia Mottola, facendo in modo di riaprire le indagini.
Il sottufficiale veniva ritrovato cadavere nella sua auto l’11 aprile del 2008. Il militare, probabilmente, si era suicidato con la propria pistola d’ordinanza perché lasciato solo. Forse anche dalla stessa istituzione di cui faceva parte, sostanzialmente per aver detto la verità che oggi si è trasformata in processo.
All’interno della caserma, in un locale in uso alla famiglia Mottola, Serena veniva aggredita e uccisa per poi essere abbandonata, ancora in vita, nel bosco di Fonte Cupa. Marco Mottola sapeva di essere nel mirino degli inquirenti, dice il Pm Siravo, e si sarebbe fidanzato per finta con Laura Ricci.
Il giovane pusher avrebbe imposto alla sedicente fidanzata di riferire agli inquirenti di essere stata lei a litigare con lui la mattina del 1 giugno a bordo della Y10 bianca. Il maresciallo Mottola, secondo l’accusa, avrebbe rallentato le indagini e organizzato una serie di depistaggi.
Il 27 giugno 2001, diversi giorni dopo il delitto, avrebbe chiesto alla commessa del bar Le Pucchietelle, Simonetta Bianchi, di riferire di aver visto Serena in una fase successiva al delitto. Mottola effettuava poi un sopralluogo nello stesso bar, che ricade nel territorio di Fontana Liri, dunque fuori la giurisdizione dei carabinieri di Arce.
Sempre secondo il Pm Siravo era stato proprio il carrozziere Carmine Belli (accusato ingiustamente di essere l’assassino di Serena Mollicone, poi prosciolto ma dopo il carcere) a riferire a Mottola di aver visto il figlio Marco litigare con Serena. Mottola non aveva redatto alcun verbale con l’intenzione di sviare le indagini.
Importante anche il ruolo svolto da Annamaria Mottola, moglie di Franco e mamma di Marco, nell’omicidio della studentessa. La donna tra la mezzanotte e l’una del 2 giugno avrebbe aiutato il marito a disfarsi del corpo di Serena nel boschetto di Fonte Cupa.
Il grave indizio sarebbe provato dal traffico telefonico in uscita ed in entrata dalla rete fissa di casa Mottola, dal contenuto degli ordini di servizio e dalla ricostruzione di un teste che avrebbe visto Annamaria rientrare in casa quando la donna aveva dichiarato di aver trascorso la serata in un bar di Arce in compagnia di alcuni amici di famiglia.
Il boschetto di Fonte Cupa non era stato scelto per caso. Il luogo, fuori mano, era distante dal bar Le Pucchietelle dove ci sarebbe stato il litigio tra Marco e Serena:”…Siamo innocenti…”, ha detto Franco Mottola in udienza affidando al portavoce, il criminologo Carmelo Lavorino, ogni ulteriore spiegazione.
I Pm hanno chiesto 30 anni di reclusione per l’ex maresciallo Mottola, 24 per il figlio e 21 per la moglie. Per il luogotenente Vincenzo Quatrale sono stati chiesti 15 anni e 4 anni per l’appuntato Francesco Suprano. Il 15 luglio la sentenza.