I cambiamenti climatici stanno manifestando i propri effetti nefasti. Stavolta si è formato un enorme foro nell’Artico, la grande regione polare dell’omonimo circolo. Si tratta della cosiddetta “polinia”, un’area d’acqua marina libera dai ghiacci e circondata dalla banchisa. Questa formazione ci trasmette un messaggio terribile: siamo alal frutta. Eppure non c’è nazione al mondo che se ne preoccupi.
Roma – A proposito di cambiamenti climatici e degli effetti devastanti che stanno procurando all’ambiente, c’è stato un segnale che può essere considerato un punto di non ritorno. In pieno autunno scorso un enorme buco si è formato nella “Last Ice Area” dell’Artico. L’area dell’ultimo ghiaccio che è, in linea di massima, la grande regione polare interna del circolo polare artico che copre una zona tra il confine settentrionale della Groenlandia e l’arcipelago artico canadese. Questa è la parte costiera più settentrionale del mondo.
Questa regione è considerata la più resistente ai cambiamenti climatici grazie allo spessore dei suoi ghiacciai. Per gli esperti del settore questa sorta di enorme buco è considerata una gran brutta rogna.
Nel linguaggio specialistico geografico con la locuzione “polinia“ si intende un’area d’acqua marina libera dai ghiacci e circondata dalla banchisa. Ebbene quest’area di mare aperto ci sta dicendo che siamo, ormai, alla frutta, se anche questa zona finora immune ha mostrato segni di vulnerabilità. Il report su quello che è successo è stato pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters.
Grazie alla disponibilità di dati satellitari gli studiosi hanno ritenuto che eventi simili, con molta probabilità, possono esseri accaduti anche decenni addietro. Finora quest’area è stata considerata quasi invulnerabile proprio per il ghiaccio molto spesso, in grandi quantità e difficile da sciogliere.
Il buco che si è formato è grande tre volte la città di Roma e può essere visto grazie alla mappa della NASA – l’Agenzia governativa civile responsabile del programma spaziale e della ricerca aerospaziale degli Usa. Una delle ipotesi fatta dagli esperti è che la frattura del ghiaccio potrebbe essersi formata in condizioni di vento estremo e con un persistente anticiclone. Oppure durante una tempesta in condizioni di alta pressione con venti molto forti che ruotano in senso orario.
C’è da dire, per completezza di informazione, che le polinie sono situazioni temporanee e molto frequenti ai Poli. Nel breve periodo svolgono un compito molto importante, in quanto favoriscono l’ecosistema artico perché l’acqua è indispensabile per gli animali. Nello stesso tempo, ecco l’altra faccia della medaglia si innesca un meccanismo di diminuzione del ghiaccio artico.
L’aspetto che allarma gli studiosi nel caso della crepa nella Last Ice Area è proprio la zona dove essa si è costituita. Questo tipo di fessure, in genere, sono presenti con la calotta sottile. Ma nella zona interessata al fenomeno, il ghiaccio artico ha uno spessore anche di cinque metri e resiste pure al calore estivo. I ricercatori ritengono, quindi, che esiste una forte correlazione tra riduzione del ghiaccio e formazione di polinie, che possono diventare molto comuni.
Il riscaldamento globale è l’artefice indiscusso di tutti questi cambiamenti. Ad esempio le temperature infuocate che si sono verificate al Circolo Polare Artico la scorsa estate, hanno provocato per la prima volta la pioggia sulla vetta più alta della Groenlandia. Mentre in Antartide è improvvisamente scomparso un lago: un mistero finora inspiegabile!
Che l’aumento della temperatura sia l’immane sfida a cui non possiamo sottrarci lo sanno pure le pietre. Ma le istituzioni preposte a dare una soluzione latitano. Sono capaci solo di chiacchiere e distintivo. E’ come se una sorta di polinia si sia formata nei loro cuori, provocando un forte assottigliamento del livello di sensibilità!