La mafia è un fenomeno afferente le classi dirigenti…”. Pio La Torre scrisse questa frase nella sua relazione della commissione Antimafia del 1976. Oggi quelle parole tornano alla ribalta prepotentemente. Nulla è cambiato, anzi. La sfiducia dei giovani nello Stato e nell'informazione.
Palermo – Trentotto anni fa l’omicidio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, caduti per mano della mafia. Erano le 9:20 del 30 aprile 1982. Pio La Torre, già parlamentare, segretario regionale del Partito comunista italiano e sindacalista, si stava recando nella sede del partito a Palermo, accompagnato da Rosario Di Salvo, suo autista e militante, quando in via Vincenzo Li Muli la Fiat 132 con i due uomini a bordo, venne raggiunta da una moto di grossa cilindrata. I corpi di La Torre e Di Salvo vennero crivellati da una raffica di proiettili. Per i due non ci fu scampo. Ci sono voluti anni per fare piena luce su quel terribile duplice omicidio avvenuto per mano dei corleonesi nell’ambito della seconda guerra di mafia in Sicilia. Pio La Torre doveva morire e a sentenziare il suo destino era stato Totò Riina.
La colpa del segretario regionale del PCI era quella di essere stato il primo firmatario di quella che poi, dopo la sua morte, divenne la Legge 646 del 13 settembre 1982, meglio conosciuta come legge Rognoni-La Torre, che introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione di reato di “associazione di tipo mafioso”, contemplata nell’articolo 416-bis. A quella legge, proposta anni prima da La Torre, lavorarono anche i Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e fu promulgata solo dopo un altro sacrificio, quello di Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre 1982 nella strage di via Carini.
Pio La Torre ha lasciato una grande eredità raccolta da chi oggi è in prima linea nella lotta alle mafie e quest’anno, a ricordare quel brutale duplice omicidio, non ci saranno cerimonie solenni, ma un’approfondita riflessione suggerita dal Centro Studi che porta il nome del segretario regionale del PCI che, nel ricordo di Pio La Torre, ha deciso di coinvolgere i giovani studenti italiani attraverso un questionario finalizzato a misurare la conoscenza e l’approccio delle nuove generazioni rispetto al fenomeno mafioso.“…La mafia è un fenomeno afferente le classi dirigenti…”. Pio La Torre scrisse questa frase nella sua relazione della commissione Antimafia del 1976 ed è sorprendente vedere come gli studenti di oggi condividano in pieno questa interpretazione, convinti che mafia e politica vadano a braccetto. Questo è il risultato della 13sima indagine sulla percezione mafiosa che, per la prima volta in assoluto, ha coinvolto anche gli studenti detenuti nelle carceri italiane.
Secondo quanto emerso dall’indagine del Centro Studi Pio La Torre, due ragazzi su tre sono certi che lo Stato non fa abbastanza per sconfiggere le mafie, tre su quattro sono convinti che i boss fanno parte dello Stato e, a tratti, lo guidano. Per oltre l’87% dei giovani il rapporto tra mafia e politica è molto forte o abbastanza forte, al punto da vedere nella corruzione della classe politica le ragioni della sua diffusione al Nord (56,89%) e nella corruzione della classe dirigente le ragioni della sua sopravvivenza (50,74%).
Toccato poi anche il tema dell’informazione, un dato su tutti: il 76% degli studenti si informa sui social network, il canale preferito è Instagram. Solo un ragazzo su 10 si fida dei giornalisti, meno del 5% legge i giornali cartacei e il 22,67% si affida a quelli online.
La notizia positiva è che la stragrande maggioranza degli intervistati considera le vittime della mafia degli eroi, persone da ammirare, mentre, sul fronte dei doveri civici, nell’indagine condotta dal Centro Studi che ha coinvolto circa 100 scuole, è emersa forte tra i giovani l’influenza dei “Fridays for future” portati avanti da Greta Thunberg.