L’aberrante fenomeno dilaga in tutto il mondo e la pandemia ha dato il suo triste contributo anche in questo settore. Si conta un aumento di 8,4 milioni di bambini negli ultimi quattro anni. Agricoltura, miniere e rifiuti i comparti più pericolosi dove i bambini rischiano la vita e menomazioni permanenti.
Ginevra – Il 12 giugno è dedicato alla Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile. Da 19 anni l’ ILO (International Labour Organization) richiama l’attenzione su una terribile piaga sociale diffusa a livello mondiale. Un fenomeno che grava sullo sviluppo psicofisico dei minori privandoli del diritto ad una adolescenza normale e alla propria istruzione.
Non esistono date attendibili sull’inizio dello sfruttamento minorile in ambito lavorativo anche se sono presenti numerosi riferimenti sull’utilizzo nell’antichità di forme di speculazione legate alla schiavitù, al lavoro agricolo e all’allevamento di bestiame.
Nelle società preindustriali i bambini partecipavano attivamente alle attività produttive e sociali non appena erano in grado di farlo, contribuendo alla propria sopravvivenza e a quella della comunità stessa.
I minori spesso apprendevano un mestiere attraverso la pratica e l’apprendistato all’interno del gruppo familiare e non avevano bisogno di frequentare la scuola.
Insomma per bambini e adolescenti lavorare era una prassi e non un problema sociale. Lo diventerà con l’avvento della rivoluzione industriale che imponeva tempi e metodi lavorativi “nuovi” e fortemente penalizzanti per il lavoratore.
I bambini, apprezzati per le dimensioni ridotte dei loro corpi e per la loro agilità che li rendevano più adatti degli adulti per determinate attività, si ritrovavano così a prestare la propria manodopera nei cotonifici dell’Inghilterra settentrionale, nelle banchine e nelle officine tessili del Regno Unito o degli Stati Uniti e nelle filande francesi.
Molto spesso lavoravano in assai condizioni precarie che potevano provocare gravi danni fisici, anche permanenti, oltre che inficiare la loro crescita psicologica Come se questo non bastasse erano sottopagati e vittime di qualsiasi genere di abuso da parte dei loro datori di lavoro.
Una situazione pressoché simile anche in quei Paesi meno interessati dalla rivoluzione industriale. La concentrazione massiccia dei bambini lavoratori nelle fabbriche contribuì ad esporre il grave fenomeno al pubblico che, inizialmente e come spesso accade, aveva dato scarsa importanza a quella che sarebbe diventata una pericolosa schiavitù di nuova concezione.
A tal proposito iniziarono le stesure dei primi rapporti sulle reali condizioni dei bambini lavoratori da parte di medici, ispettori e funzionari di enti pubblici e privati ma anche il mondo della cultura muoveva i primi passi per denunciare la triste realtà attraverso libri, documentari e film che affrontavano, anche in maniera forte, una tematica che di li a qualche anno sarebbe dilagata a macchia d’olio.
Eppure la regolamentazione e la successiva abolizione del lavoro minorile in Europa e nel Nord America ha richiesto più di un secolo e il fattore più decisivo era stato senza dubbio l’introduzione della scuola dell’obbligo che entrava per la prima volta in conflitto con la fabbrica.
I pionieri della “rivoluzione” sono stati i comitati statunitensi sorti nei primi del 900, seguiti dalle leggi promulgate dagli altri Paesi prima e dopo il conflitto mondiale del 1915-1918.
A livello internazionale i gradi sodalizi come l’ILO e l’UNICEF erano stati istituiti, rispettivamente dopo la prima e la seconda guerra mondiale, per garantire condizioni di lavoro più sicure per gli adulti, istituire limiti di età per il prestatore d’opera ed eliminare il lavoro minorile in tutto il mondo.
Ma nei Paesi in via di sviluppo il fenomeno non era ancora stato sradicato come hanno dimostrato negli anni 80 i famigerati sweatshops, le officine tessili asiatiche dove parlare di semplice schiavitù era un eufemismo.
L’ILO ha creato nel 1992 l’IPEC, un’organizzazione che si occupa esclusivamente dell’eliminazione del lavoro minorile e dello sfruttamento, organizzando campagne pubblicitarie per incoraggiare le imprese transazionali europee e nordamericane a non ricorrere al lavoro operato da minori.
Secondo il rapporto “Child labour: 2020 global estimates, trends and the road forward” (Lavoro minorile: stime globali 2020, tendenze e percorsi per il futuro), il progresso verso l’eliminazione del lavoro minorile ha subito una battuta d’arresto per la prima volta in 20 anni.
La ricerca evidenzia che i bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni costretti a forme di lavoro minorile sono aumentati significativamente e rappresentano poco più della metà del totale globale.
Dal 2016 il numero di bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni occupati in lavori pericolosi è aumentato di 6,5 milioni, fino a raggiungere 79 milioni.
Altro dato rilevante, a livello globale, è rappresentato da nove milioni di bambini in più che rischiano di essere spinti verso il lavoro minorile entro la fine del 2022 a causa della pandemia, in quanto le relative chiusure delle scuole hanno costretto i minori che già lavoravano a lavorare ancora di più.
“…Stiamo perdendo terreno nella lotta contro il lavoro minorile e l’ultimo anno non ha reso questa lotta più facile – ha detto Henrietta Fare, direttrice generale dell’UNICEF – esortiamo i governi e le banche internazionali per lo sviluppo a dare priorità agli investimenti in programmi che possano far uscire i bambini dalla forza lavoro e riportarli a scuola e in programmi di protezione sociale che possano aiutare le famiglie ad evitare di ricorrere a tale scelta...”
La funzionaria dell’UNICEF, già dal 10 giugno scorso e sino al 17, insieme al Direttore Generale dell’ILO Guy Ryder ed altri interlocutori di alto livello, saranno presenti alla Conferenza internazionale del Lavoro, per discutere le nuove stime globali e le roadmap da attuare di conseguenza.
La situazione a livello mondiale è talmente problematica che diversi governi, fra le nazioni più avanzate, hanno deciso di porre un freno al dilagare del lavoro di bambini e ragazzini emanando leggi appropriate e incentivando i controlli.