Assieme ai Rumeni siamo il fanalino di coda per quanto riguarda la durata della vita lavorativa. E c’è pure chi cerca lavoro ma prega Dio di non trovarlo! Basta parlare con gli imprenditori.
L’Italia al penultimo posto in Europa per la durata della vita lavorativa. A leggere le cifre il Bel Paese sembra essere un popolo di scansafatiche rispetto al resto dei Paesi europei. A conferma, forse, della nostra indole latina e mediterranea orientata al godereccio e non alla fatica, oltre a soprassedere sulle incombenze della vita quotidiana. Invece, è proprio così.
Secondo il rapporto “Demografia, occupazione e previdenza – L’Italia nel contesto europeo”, a cura di Cna Area Studi e Ricerche, malgrado l’aumento dell’età pensionabile, il nostro Paese si piazza al penultimo posto in Europa. A leggerci la targa, come si dice in gergo sportivo, c’è solo la Romania, ultima. La media della vita lavorativa è di 32,8 anni. Per la cronaca l’Area Studi e Ricerche della CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) si occupa di analisi, ricerca e monitoraggio dei fenomeni socio-economici.
Una delle cause principali, secondo gli analisti, è l’entrata nel mercato del lavoro dei giovani in età più avanzata rispetto agli standard europei. Al 1° posto di questa speciale classifica si posizionano i Paesi Bassi con 43,8 anni, seguiti a ruota da Svezia e Danimarca, rispettivamente con 43 e 42,5 anni. Poi tutti gli altri Paesi, la cui media europea si attesta sui 37,2 anni di vita lavorativa. Tra i Paesi in bassa classifica si trovano, oltre all’Italia, Romania (ultima), Bulgaria, Grecia, Croazia. Belgio, Polonia, Lussemburgo, Slovacchia, Spagna. La quota nazionale dei giovani tra i 15 e i 24 anni, che si affacciano sul mondo del lavoro è tra le più basse. Inoltre a incidere sulla bassa partecipazione lavorativa degli italiani è il cosiddetto “inverno demografico”.

Ossia quel fenomeno che si verifica quando la popolazione di una determinata area geografica diminuisce costantemente nel tempo. Questo calo è dovuto al tasso di natalità inferiore alla mortalità e all’emigrazione di giovani verso altre zone. Oltre a creare profonde crepe al già disastrato sistema previdenziale, mina anche il tessuto produttivo per la il forte squilibrio tra domanda e offerta nel mercato del lavoro e la quasi totale impossibilità di trasmettere la cultura lavorativa da una generazione all’altra, perché gli anziani sono tanti e i giovani pochi.
Mentre una buona parte di ricerche hanno rilevato che le piccole e medie non hanno più forza propulsiva nell’ambito dell’innovazione tecnologia, la Cna, al contrario le ritiene l’unico mezzo per un cambiamento di rotta. Infatti, nelle piccole e medie imprese, il 22,4% degli addetti ha un’età inferiore ai 30 anni, mentre nelle grandi entità del 12%. La ricerca condotta ha dato uno sguardo anche al sistema pensionistico, di cui si è assistito al passaggio dal sistema retributivo, fondato sulle ultime retribuzioni a quello contributivo, che prevede il calcolo dei contributi effettivamente versati, nonché l’aumento dell’età pensionabile.
L’Italia è stato l’unico Paese europeo con una consistente economia a diminuire il numero delle pensioni elargite. Ma non è sufficiente. I punti dolenti della stabilità del sistema riguardano l’occupazione e la durata complessiva della vita lavorativa, che come si è visto sono allarmanti. Tuttavia c’è un aspetto da considerare. Sorprende che nel pur corposo studio della Cna, non sia stato esaminato il fenomeno del lavoro sommerso, cosiddetto in “nero”, di cui è nota l’evasione fiscale e contributiva. La cifra di 32,8 anni, senza una stima di quanto varrebbe la contribuzione sommersa come numeri di anni, può essere fuorviante ed eccessivamente bassa!