Da Moravia alla scienza, la noia non è solo vuoto esistenziale: può essere un alleato prezioso per il cervello e la creatività.
“La noia” era il titolo di un romanzo di Alberto Moravia pubblicato nel 1960. Si tratta di una narrazione a volte spietata di un individuo senza strutture, senza appoggi, alienato dalla vita sociale. È la storia del pittore borghese e sfaccendato Dino, assalito dalla noia verso tutto ciò che lo circonda, una storia di crisi, di fallimenti, di delusioni. La noia che, invece, ha suscitato interesse è quella comune, banale della vita quotidiana. Ha assunto, sovente se non sempre, significati negativi.
La psicologia la definisce come uno stato emotivo caratterizzato da una sensazione di insoddisfazione o di vuoto, spesso associata alla mancanza di stimoli o di significato in un’attività o situazione. È una condizione che può manifestarsi in vari modi, come irrequietezza, apatia o disinteresse. Invece la scienza l’ha rivalutata dopo decenni di ricerche. Essa è essenziale per ricaricare il cervello, rendendolo più capace di gestire il continuo flusso di informazioni e il fardello di fatica che sopporta.

Nel corso dei secoli molti filosofi antichi e moderni si sono interessati all’argomento, dandone ognuno una definizione diversa. Allo stato dell’arte, comunque, sono ancora ignote le cause che la scatenano. Per alcuni il virus si trasferisce perché non si fa nulla di stimolante, altre volte perché le attività sono troppo difficili, altre ancora ripetitive e prive di senso. Anche quelle più interessanti e dotate di significato possono essere l’anticamera della noia. In qualsiasi modo, essa appare dappertutto con tutti i suoi effetti. Secondo l’University of the Sunshine Coast, Dipartimento di Salute Mentale, in Australia “il cervello è un sistema di aree collegate tra di loro che collaborano per soddisfare funzioni diverse, in modo così armonizzato che l’informazione si sposta da una parte all’altra in maniera funzionale”.

La noia è, quindi uno stadio in cui alcune aree fanno un break, mentre altre si potenziano. Senza addentrarci in definizioni troppe specialistiche riguardanti le aree cerebrali coinvolte in questo processo, l’aspetto rilevante è che la noia, nel corso dei secoli, è stata associata ad atteggiamenti borderline che hanno a che fare con la salute mentale. Secondo alcune teorie l’attitudine a… sguazzare nella noia è collegata a situazioni ad alto rischio, come il gioco d’azzardo, abuso di droghe, sostanze psicotrope, il cosiddetto disturbo da alimentazione incontrollata. Infine, in casi rari, addirittura tentativi di commettere atti suicidari. Ma non è finita qui.
Per completare il quadro, di per sé, già fosco, la noia come una furia interviene negli esiti scolastici e lavorativi negativamente. Inoltre, rappresenta l’humus ideale per l’insorgenza di ansia, depressione e problemi di salute mentale. Gli scienziati ritengono che la stimolazione costante, condizione in cui siamo tutti sottoposti a causa della digitalizzazione della vita nel suo complesso, può produrre un sovraccarico cerebrale. La corsa ad ottenere tutte le informazioni possibili, il passare da un’attività all’altra, il multitasking, sono tutte situazioni che possono produrre sopraffazione e sovraeccitazione al sistema nervoso, da cui scaturisce l’accelerazione dello stato d’ansia. Ma ecco l’antidoto salutare: una buona dose di noia costruttiva aiuta la creatività, l’autonomia di giudizio, la rottura degli schemi e la ricerca di altre attività senza restare vittime degli stimoli esterni!