L’eccentrica proposta di matrimonio del deputato Di Muro, durante una seduta della Camera: un indice dei tempi che cambiano…
Tutte le televisioni e i siti di informazione hanno ripreso la notizia: ieri mattina, mentre era in corso alla Camera la votazione del decreto legge sul terremoto, il deputato leghista Flavio Di Muro ha chiesto ed ottenuto la parola in aula. Poi ha adoperato il tempo del suo intervento non certo per parlare del terremoto, bensì per chiedere alla fidanzata, Elisa, seduta in tribuna, di sposarlo. Con tanto di anello mostrato platealmente a tutti i deputati. E’ scattato un applauso corale e poi la Camera si è divisa anche su questo: chi (come il Presidente Fico) ha criticato l’irritualità del gesto, giudicandolo inopportuno, e chi, invece (la deputata Pezzopane, PD, intervenuta subito dopo Di Muro), ha chiosato con un ecumenico “l’amore unisce, viva gli sposi”.
Non intendo qui addentrarmi nel merito del giudizio o prendere posizione, ma alcune immagini mi si presentano spontanee.
Provate per un attimo a immaginare Fanfani protagonista di una scena del genere. O Moro. O Berlinguer. O anche solo Craxi. Ci riuscite? Io, onestamente, no. L’immagine risulta stridente.
A ben vedere, però, tale senso di dissonanza è più diffuso di quanto l’impulsività suggerisca. Qualche giorno fa, Mario Giordano, nella sua trasmissione in prima serata su Rete 4, è salito su un ring vestito da pugile. Qualche puntata prima aveva sfasciato delle zucche con una mazza. Mario Giordano, dal 2007 al 2009, è stato direttore de Il Giornale. Anche Montanelli è stato direttore de Il Giornale (nonché il fondatore). Riuscireste a immaginare Montanelli vestito da pugile o intento a fracassare delle zucche?
Sono tutti alla spasmodica ricerca del reality. La comunicazione viene prima di tutto: da mezzo è diventato fine. Lo scopo del gioco è non passare inosservati, farsi notare, ricevere like. E’ il contenitore non che batte il contenuto, ma che lo surclassa.
I miei colleghi che studiavano giurisprudenza o economia non comprendevano gli iscritti a scienze della comunicazione: sprezzantemente li chiamavano “i comunicatori”. Ora comandano loro. Non mi voglio spingere a predicare se si tratti di un bene o di un male, anche perché in realtà non lo saprei dire; e non mi unirò nemmeno al coro di chi, causticamente, ieri ha commentato così la vicenda Di Muro: “non pretendiamo Andreotti o La Pira, a questo punto ci andrebbero bene persino i loro portaborse”.
Però che i tempi sono cambiati molto e molto in fretta è un dato di fatto. E un altro dato di fatto è che, alla fine, ha avuto ragione Warhol.