A rivelarlo è un’indagine condotta dall’Associazione Nazionale Archeologi (ANA) che ha evidenziato le difficoltà vissute da molte professioniste del settore.
Roma – Un’archeologa su tre dichiara di essere stata vittima di abusi. A rivelarlo è un’indagine condotta dall’Associazione Nazionale Archeologi (ANA) sulla violenza di genere, che ha evidenziato le difficoltà vissute da molte professioniste del settore. Discriminazioni, emarginazione da parte di colleghi e superiori, e penalizzazioni nell’assegnazione di incarichi sono esperienze comuni a oltre la metà delle archeologhe italiane, che rappresentano il 65% degli operatori attivi nel campo. Un terzo delle intervistate ha inoltre segnalato di aver subito molestie verbali sul luogo di lavoro.
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, l’ANA presenterà dati che mettono in luce un problema ancora sottovalutato nel settore archeologico. Sebbene le condizioni lavorative per la categoria siano migliorate negli ultimi anni, i numeri mostrano che la discriminazione di genere e gli abusi restano una realtà diffusa. Il 69% dei professionisti intervistati ha affermato di essere stato vittima di discriminazioni lavorative, con una percentuale maggiore tra le donne. Le discriminazioni riguardano principalmente il genere o l’orientamento sessuale (46,45%), l’emarginazione sul posto di lavoro (42,62%) e la difficoltà di ottenere incarichi professionali (32,24%).
Più di un terzo del campione ha dichiarato di essere stato vittima di abusi di varia natura. Tra questi, il 91% delle donne ha riferito di molestie verbali, il 50% di episodi di mobbing, il 23,26% di molestie fisiche e il 22% di stalking. Inoltre, il 70% degli intervistati ha testimoniato di aver assistito a comportamenti discriminatori sul lavoro, e il 25,59% a episodi di abusi nei confronti di colleghi o colleghe.
Questa situazione ha spinto molte archeologhe, in passato, ad abbandonare la professione. Le cause principali sono state la necessità di trovare lavori più remunerativi, più conciliabili con la genitorialità o che consentissero di lasciare ambienti tossici segnati da discriminazioni e abusi. Questi dati, raccolti anche nell’ambito del Terzo Censimento Nazionale degli Archeologi Italiani su un campione di 1.080 professionisti e presentati alla Borsa Mediterranea del Turismo di Paestum, riflettono una realtà ancora critica.
Interessante è anche il dato relativo all’autocritica all’interno della categoria: il 24% dei professionisti ammette di aver adottato in passato comportamenti che oggi potrebbero essere considerati discriminatori. Tra questi, il 7,57% ha riconosciuto di aver compiuto, anche involontariamente, azioni che attualmente sarebbero classificate come abusi.