NIENTE PACE PER LA LIBIA

I due contendenti sono solo galli da combattimento, la partita si giocherà a livello internazionale dove gli interessi per la Quarta Sponda sono innumerevoli

Si è da poco conclusa la Conferenza internazionale di Berlino sulla crisi libica e sul futuro del paese nordafricano organizzata ufficialmente dal governo tedesco. Alla conferenza sono stati invitati i rappresentanti di Francia, Italia, Gran Bretagna, Usa, Russia, Cina, Emirati arabi uniti, Turchia, Unione europea, Onu, Unione africana e Lega araba, oltre che di alcuni attori regionali minori come Repubblica del Congo, Egitto e Algeria. E, ovviamente, Khalīfa Ḥaftar e Fāyez al-Sarrāj, i due principali contendenti in lotta. Se non fossimo sicuri che Otto von Bismarck sia morto da lungo tempo potremmo quasi avere un deja-vù. Nonostante le retoriche contemporanee, le politiche di stampo colonialista in Africa (e non solo) continuano forti come prima. Dall’intervento militare condotto da Francia, Gran Bretagna e Stati uniti nel 2011 contro Moammar Gheddafi, la Libia non ha più conosciuto pace, diventando teatro di una guerra per procura tra i vari paesi che adesso sono chiamati al tavolo delle trattative per spartirsi definitivamente la Libia, la quale, ormai, non esiste più, avendo subito quel processo di “balcanizzazione” che è già toccato a Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Siria.

La situazione militare in campo è liquida e riflette i cambiamenti di alleanze e interessi che man mano coinvolgono le potenze esterne coinvolte. Se da una parte gli Stati uniti sostengono Haftar, insieme al codazzo consueto composto da Arabia saudita, Emirati arabi uniti e Egitto, dall’altra al-Sarrāj gode del sostegno ufficiale dell’Onu e, in teoria, dell’Ue. In teoria perché il riconoscimento da parte dell’Ue sembra più frutto della posizione politica della Germania che di una visione comune europea. Tant’è vero che la Francia, che ha enormi interessi in tutta la regione, espressi anche dalla presenza militare nei paesi dell’Africa subsahariana (Mali, Niger e Ciad), si è schierata proprio con Haftar. La Russia, che invece non ha interessi diretti nel paese, sembra stia usando la Libia come merce di scambio per i suoi interessi in Siria e quindi come pedina nei suoi rapporti con la Turchia.

La Turchia dal canto suo ha annunciato ufficialmente l’invio di truppe e di mercenari siriani a sostegno di al-Sarrāj, senza destare particolare scandalo e questo farebbe pensare a colloqui già ben avviati con la stessa Russia, per quanto riguarda il futuro del nord della Siria, e con la Germania, con cui la Turchia ha un canale diplomatico favorevole dai tempi della crisi europea dei migranti del 2015. L’Italia sconta nella questione libica il suo ormai decennale declassamento a potenza minore, declassamento reso chiaro ancora una volta dall’intervento militare del 2011 contro Gheddafi (partito anche dalle basi Nato presenti in Italia) con cui l’Italia manteneva relazioni privilegiate, e aggravato dal fatto che il Ministro degli esteri Luigi Di Maio abbia scoperto dove fosse la libia sulla cartina geografica solamente da qualche mese. Si era quindi ormai creata una pericolosa situazione di scontro sia all’interno dei paesi dell’Ue sia dei paesi Nato, situazione che la conferenza è stata chiamata a evitare che potesse degenerare. Vedremo quali saranno i risultati reali degli accordi raggiunti oggi, che prevedono un cessate il fuoco permanente, un embargo sulla vendita di nuove armi e l’avvio di un percorso politico per evitare la “soluzione” militare. Come al solito, grande assente al tavolo delle trattative, il futuro del popolo libico.

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