Val Venosta, gli scheletri di Santo Stefano raccontano le migrazioni nell’alto Medioevo

Le analisi di Eurac Research hanno rivelato l’elevata varietà genetica e i legami di parentela tra gli individui sepolti nel cimitero a Burgusio (Malles, Bolzano) dal IV e al VII secolo.

Bolzano – Alla fine degli anni Ottanta gli scavi promossi dalla Soprintendenza provinciale ai beni culturali in occasione dei lavori di restauro della chiesetta di Santo Stefano a Burgusio, frazione di Malles Venosta in Alto Adigeriportarono alla luce i resti del cimitero altomedievale. Le tombe, correlate all’edificio, conservavano ancora i resti ossei – scheletri completi o solo ossa sparse – accompagnati in un paio di casi da scarni elemento di corredo. Ritrovamenti non “spettacolari”, certo, ma che potevano fornire interessanti informazioni sulla società e lo stile di vita dell’epoca. Da dove venivano le persone sepolte? Si trattava di autoctoni, cioè nati e vissuti nel luogo, oppure di gente che – come spesso accadeva tra tarda antichità e primo Medioevo – proveniva da fuori? Interessante era, in particolare, una delle tombe, nella quale giacevano i resti di una dozzina di persone: erano imparentate fra loro oppure estranei? A distanza di quasi quarant’anni, le analisi antropologiche e genetiche svolte nei laboratori di Eurac Research hanno cercato di rispondere a questi e altri quesiti, fornendo nuovi elementi per interpretare il fenomeno dei flussi migratori e l’organizzazione sociale dei centri demici della val Venosta tra il IV e il VII secolo d.C. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica iScience.

Fig 1. Ubicazione e distribuzione delle tombe nel cimitero (A) Mappa dell’Alto Adige con l’ubicazione del cimitero di Burgusio Santo Stefano–St. Stephan ob Burgeis (BSS). (B) La chiesa della BSS come appare oggi.
© Distribuzione delle tombe nella chiesa (foto d’archivio della Soprintendenza Archeologica della Provincia Autonoma di Bolzano in Reuβ 2016, modificata). – IMMAGINI TRATTE DA V.Coia er alii, 2024 (©)

Gli individui analizzati dal team di Eurac Research erano sepolti in tombe ubicate sia all’interno che all’esterno della chiesa di Santo Stefano, suggestivo ma poco conosciuto edificio che sorge nei pressi dell’assai più celebre Abbazia Marienberg, o di Monte Maria, oggi barocca ma risalente al XIII secolo (si tratta dell’unico esempio di basilica a tre navate colonnate in val Venosta).

La chiesa di S. Stefano a Burgusio (© – Oliver Reuß)

Una chiesa antichissima

La prima fondazione di Santo Stefano risale almeno al V-VI secolo e a provarlo sono proprio le sepolture, databili tra il IV e il VII, tornate alla luce durante lo scavo. Solo due di esse, la Tomba 2 e la Tomba 3, risalenti al periodo più tardo, presentano parti di corredo: si tratta di elementi appartenenti alle cinture multiple “germaniche” con decorazioni ad agemina e niello diffuse durante l’età delle migrazioni (erano tipiche, ad esempio, dei Longobardi), oggi visibili nel vicino Museo di Monte Maria. I ritrovamenti hanno spinto gli archeologi a chiedersi se le persone sepolte nella chiesa di Burgusio fossero “immigrati” oppure membri della popolazione locale entrata in contatto con gruppi alloctoni acquisendone il costume e le usanze culturali

Parti di cintura rinvenute nella tomba 2 (© – Oliver Reuß)

“L’analisi genetica non fornisce risposte definitive a tutti questi quesiti, ma ci è di grande aiuto perché ci permette di risalire a informazioni impossibili da ottenere con il solo studio archeologico”, spiega Valentina Coia, biologa di Eurac Research e una delle autrici principali dello studio. “Le analisi paleogenomiche svolte su 21 individui sepolti nel cimitero hanno dimostrato una elevata eterogeneità a livello genomico, ma anche una componente genetica principale riconducibile al sud Europa e in particolare all’Italia centrale. Questo dato non suggerisce la presenza di ‘migranti’, ma indica mescolamenti genetici con persone di diverse origini”. Un risultato, commenta la studiosa, che non stupisce troppo, vista la complessità dei fenomeni di mescolamento genetico che caratterizza le popolazioni europee altomedievali. “Quello che ci ha sorpreso – commenta la studiosa – è la varietà genetica presente in questo piccolo cimitero alpino. Analisi da noi precedentemente condotte su campioni altomedievali rinvenuti in provincia indicavano infatti una minore mobilità e maggior isolamento in val Venosta rispetto ad altre valli, ad esempio valle Isarco o valle dell’Adige”, chiosa ancora Coia.

Tomba di famiglia

Ad attirare gli studiosi è stata in particolare la tomba numero 2 (T.2) contenente almeno 13 individui tra scheletri completi, resti di crani e altre ossa sparse. La posizione privilegiata, nei pressi dell’altare, faceva supporre che si trattasse di una sepoltura familiare di alto rango sociale. Ipotesi suffragata anche dalla presenza di un corredo funerario composto da ben 15 elementi di cintura maschile di tipo germanico, segno che al suo interno era stata deposto un personaggio eminente: un individuo di sesso maschile deceduto all’età di 35–40 anni tra il 557 e il 634 circa. Lo studio genomico ha rivelato l’esistenza di un legame familiare tra quest’ultimo e un secondo individuo, anch’egli di sesso maschile, morto all’età di 40–50 anni tra il 428 e il 567 circa, quindi più anziano di lui: con molta probabilità, si trattava del padre, e lui era il figlio.

Le tombe nel cimitero altomedievale di Burgusio (© Ricerche Archeologiche di Rizzi Giovanni & Co. S.N.C.)

L’”uomo con la cintura” era imparentato anche con una donna, sempre sepolta (ma in giacitura secondaria) nella Tomba 2 e morta all’età di 25-30 anni: i legami in questo caso erano di secondo o terzo grado e per via materna. Accanto a lui, inoltre, giaceva un’altra donna, che non presenta legami biologici né con lui né con il resto degli individui della tomba, ma vanta un elevato “livello di mescolamento” genetico con gruppi provenienti dal nord Europa. La sua deposizione accanto all’uomo sembra suggerire che tra i due esistesse una forte relazione: erano forse marito e moglie?

Gruppo leader

I dati archeologici, insomma, parlano chiaro: i 13 individui presenti in questa sepoltura collettiva non erano tutti parenti di sangue, ma membri di una familiaun gruppo cioè basato non solo sui legami di tipo biologico, ma anche su relazioni che andavano “oltre” la parentela. E si trattava di un clan privilegiato, che ha verosimilmente detenuto il controllo della comunità per diverse generazioni: lo scheletro più antico (si tratta anche in questo caso di un uomo) fu infatti deposto nel IV-V secolo, in corrispondenza delle primissime fasi della chiesa, mentre gli altri resti sono in linea con le fasi più tarde, l’ultima delle quali risale al VII secolo.

Parte di cintura rinvenuta nella tomba 3, appartenente a un individuo di sesso maschile (© – Oliver Reuß)

“Lo studio ci dice molto sulla struttura sociale di quell’epoca lontana in questo territorio”, spiega la bioarcheologa Alice Paladin, coautrice della ricerca. “Combinare le analisi antropologiche e genetiche con i dati archeologici a nostra disposizione ci ha permesso di chiarire il quadro e di comprendere come l’ibridazione culturale che si osserva in questarea in quel momento storico sia stata accompagnata da complessi processi di mescolamento genetico”, concludono le ricercatrici. Un tassello in più nel fitto mosaico di studi che negli ultimi anni, grazie anche alle moderne tecnologie e alla genetica, stanno rivelando quanto i secoli tra tarda antichità e alto Medioevo siano stati cruciali, con le loro complesse dinamiche, nel determinare il futuro corso della storia d’Europa.

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