I costi per l’istruzione universitaria sono cresciuti a dismisura negli ultimi decenni, tanto che per molte famiglie del ceto medio, per far studiare i propri figli, è come stipulare un mutuo.
Roma – Le difficolta sono aumentate per la sempre più crescente proletarizzazione del ceto medio, a causa dell’inflazione e della crisi economica. Al sud la situazione è ancora più drammatica, nel senso che quelle famiglie che riescono a far studiare i propri figli, si ritroveranno con un pugno di mosche in mano. Ovvero, avranno investito i propri risparmi, ma alla fine della fiera i neolaureati per trovare lavoro sono costretti ad emigrare al Nord o all’estero.
Una nuova forma di depredazione sotto mentite spoglie. In Europa la media della spesa per l’istruzione è del 5% del PIL (Prodotto interno lordo, cioè la ricchezza prodotta da uno Stato), mentre in Italia si aggira sul 4,3%. In linea teorica, è ancora conveniente laurearsi. Infatti si accede ad un salario superiore del 45% rispetto a chi non lo è. Siamo, comunque, ancora lontani dal raggiungere il livello degli Paesi UE. AlmaLaurea è un Consorzio interuniversitario dell’Università di Bologna fondato nel 1994, a cui aderiscono 75 atenei italiani, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica e che ha come finalità studi sul mondo universitario italiano. Pubblica dei report sullo stato di salute universitario.
L’ultimo si riferisce al 2022 in cui emerge che il 60,1% degli iscritti alla triennale in media finisce gli studi, il 49,7% di quelli a ciclo unico e il 67% delle lauree magistrali. La scelta dell’ateneo da frequentare non è facile. Al Nord, le Università sembrano fornire più chances rispetto a quelle del Sud. Ci risiamo col divario Nord/Sud in qualsiasi settore della vita sociale! Inoltre, le discipline scientifico-tecnologiche offrono occasioni più redditizie per quanto riguarda lo stipendio. Anche l’ateneo scelto risulta fondamentale. Nei Politecnici e nelle Università private le rette in media sono più costose di quelle pubbliche. Sono considerazioni diffuse dall’Osservatorio JobPricing, un accreditato punto di riferimento per lo studio del mercato del lavoro e delle dinamiche retributive in Italia. In collaborazione con LHH Recruitment Solution, società di ricerca del personale, è stato pubblicato un report molto dettagliato. Nella fascia d’età 25-34anni, l’ateneo più costoso è risultato L’Università Commerciale Bocconi con 35297 euro. Seguito dal Politecnico di Milano con 34315 euro e quello di Torino con 33244 euro. La Sapienza di Roma e l’Università degli Studi di Milano si posizionano a centro classifica.
Agli ultimi posti si piazzano l’Università degli Studi di Perugia e quella di Cagliari. La scelta dell’Università influisce pure sul tempo che si impiega per rientrare dell’investimento fatto per studiare che comprende tasse, materiale didattico e, potenziali, alloggi. In questa classifica al primo posto c’è il Politecnico di Milano. Per rientrare dell’esborso per studiare, ci vogliono 13,3 anni per gli autoctoni e 16,3 per chi viene da fuori. Seguono il Politecnico di Torino, L’Università degli Studi di Brescia e la Bocconi di Milano. Nelle ultime posizioni, l’Università degli Studi di Perugia e quella di Cagliari. Sono dati nudi e crudi che testimoniano come il diritto allo studio, sancito dalla costituzione, nei fatti è diventato carta straccia. Uno Stato che si vuole “civile e democratico” deve investire su due pilastri fondamentali del welfare: l’istruzione e la sanità. Altrimenti non è né civile né democratico, visto come entrambi sono ridotti.