Un cadavere nell’armadio

Il 10 Aprile del 1994 Antonella Di Veroli, commercialista di 47 anni, viene rinvenuta morta ammazzata nella sua abitazione a Talenti, zona Nord di Roma Capitale. Il cadavere della donna è rannicchiato in posizione fetale e giace all’interno del suo armadio. Il killer è rimasto senza volto.

ROMA – È un pomeriggio uggioso in quel geometrico ripetersi di villette e condomini a nord della Capitale. Una zona i cui terreni, edificabili o meno, rappresentarono la vera fortuna dei palazzinari romani. Quartieri dove le vie prendono il nome di noti letterati, fra questi via Domencio Oliva. Al civico 8 c’è un condominio elegante, di quelli dove il parcheggiatore ti porta l’auto fin sotto il portone di casa. È proprio al parcheggiatore di quel palazzo che, domenica 10 aprile 1994 intorno alle 20.30, una donna bionda e riccia sta lasciando le chiavi della sua macchina prima di rincasare. La donna si chiama Antonella Di Veroli, commercialista di 47 anni, e abita proprio in quel palazzo, piano rialzato, interno 2B. Antonella ha passato la giornata da un’amica, una delle poche giornate che la donna dedica a sé stessa e ai rapporti sociali. Intorno alle 22.45 la commercialista termina una telefonata con la madre, poi svanisce nel nulla.

Antonella Di Veroli

Il ritrovamento 

Antonella è una persona abitudinaria, metodica, forse anche troppo ed è per questo che i colleghi, non vedendola giungere in ufficio puntuale come sempre, si preoccupano non poco. Per tutta la mattina ed il pomeriggio i messaggi intasano la segreteria telefonica della commercialista ma di lei nessuna traccia. Intorno alle ore 20 di lunedì 11 la sorella Carla, il marito e il collega nonché intimo amico di Antonella Umberto Narvinocchi, decidono di effettuare un sopralluogo presso il suo appartamento di via Oliva. La signora Ninive, vicina di casa della Di Veroli, è l’unica condomina a possedere le chiavi di casa, oltre ad Antonella, e le consegna ai congiunti della donna per permettere il sopralluogo. All’interno dell’abitazione pare non ci sia nulla di strano. Un po’ in disordine e questo sì che è inusuale per Antonella. Ma non è un disordine violento, non sembrano esserci segni di effrazione alle porte e finestre o eventuali tracce di colluttazione. Ma Antonella non è in casa.

Umberto Narvinocchi, l’amico intimo, in compagnia del figlio e di un suo conoscente agente di Polizia, torna intorno alle 21.30 per dare uno sguardo più approfondito all’abitazione della donna scomparsa. Notano dei sonniferi, un orologio da uomo di valore in camera da letto e sempre quello strano disordine che non allarma ma allo stesso tempo, conoscendo Antonella, continua a non tornare del tutto. Nient’altro. Il giorno 12 si svolge una terza ricognizione nell’abitazione da parte di altri conoscenti della vittima. Ancora Narvinocchi col figlio, la sorella di Antonella, Carla, e il marito. I quattro, muniti di guanti in lattice per non contaminare l’appartamento, si pongono come obiettivo un’indagine più approfondita alla ricerca di prove a sostegno della tesi riguardo un eventuale allontanamento volontario della professionista.

I carabinieri sotto casa della vittima

La squadra si dirige in camera da letto, verso l’armadio a muro in legno chiaro. L’intento è quello di verificare la possibile assenza di vestiti. I quattro credono che nel caso Antonella si fosse allontanata avrebbe dovuto fare le valige e se cosi fosse stato i vestiti della donna sarebbero molti di meno dentro il guardaroba. Le prime tre ante si aprono e tutti i vestiti sono al loro posto, la quarta anta non ne vuole sapere di aprirsi. Narvinocchi nota come l’anta sia stata sigillata da poco lungo l’intero perimetro. Una sbavatura di stucco per legno conferma ciò che l’uomo deduce con successo: qualcuno, di recente, ha sigillato lo sportello con lo stucco. Narvinocchi tira verso di sè, con più forza, lo sportello fissato con l’adesivo sino a farlo spalancare. Ciò che scopriranno li farà rabbrividire: dentro il quattro stagioni c’è il cadavere di Antonella Di Veroli. La salma giace in posizione fetale, con le braccia incrociate sul petto e un sacchetto di plastica stretto intorno alla testa. A coprire le spoglie alcuni vestiti e cuscini gettati alla rinfusa.

I soliti sospetti 

Le indagini sono affidate al sostituto procuratore Nicola Maiorano e alla Compagnia carabinieri di Montesacro. Il cadavere della vittima presenta due fori alla testa compatibili con un calibro 6.35, dunque la vittima è stata ferita a morte con una pistola prima di essere soffocata con un sacchetto di plastica. I colpi sarebbero stati esplosi attraverso un cuscino per attenuare la detonazione, tant’é che un cuscino bruciacchiato viene rinvenuto accanto al corpo e forato da due colpi di arma da fuoco. Come già ribadito Antonella è una donna metodica e riservata, la sua cerchia di conoscenze è piuttosto ristretta, secondo i testimoni. È proprio da quella cerchia di conoscenti stretti che saltano fuori due nomi, due persone che sembrano più di semplici conoscenti.

Il cadavere della donna trasferito in obitorio

Il primo è proprio colui che ha rinvenuto i resti, Umberto Narvinocchi. Tra i due c’è stata una storia sentimentale durata una decina d’anni. Inoltre l’uomo risulterà positivo alla prova dello stub. Altre prove per lo meno circostanziale a carico dell’uomo sono Antonella col suo pigiama, il fatto che lo indossasse al momento della sua morte fa presupporre che avesse un rapporto molto stretto con il suo carnefice. Narvinocchi però ha un alibi di ferro, ha passato con la famiglia tutto quel maledetto 10 aprile. In casa ha un piccolo poligono di tiro privato e per di più la moglie spiega quanto i rapporti tra Narvinocchi e la Di Veroli fossero distesi. L’uomo è innocente e non c’entra nulla con il fatto di sangue. Da quella ristretta cerchia di conoscenze salta fuori un altro nome, quello di Vittorio Biffani.

Biffani è un fotografo di 51 anni, sposato, ma che ha intrattenuto per alcuni mesi una relazione proprio con la Di Veroli. Il suo profilo si fa decisamente interessante per gli inquirenti quando viene a galla un prestito di 42 milioni di lire che la donna avrebbe elargito a favore del Biffani e mai restituito. Vengono a galla anche decine di messaggi minacciosi lasciati dalla moglie di Biffani sulla segreteria telefonica della vittima. In quelle telefonate viene fatto spesso riferimento ad un prezioso orologio dato in pegno dal Biffani alla vittima e che la Di Veroli si rifiuta di restituire. Quell’orologio secondo la moglie del Biffani, dovrebbe essere restituito poiché la relazione extraconiugale del marito è ormai finita da qualche tempo.

Il cuscino con i due fori di proiettile usato per attenuare la detonazione

L’attenzione degli inquirenti ora è tutta per il Biffani, infatti chiunque conosce Antonella descrive quella breve relazione come intensa e burrascosa, un brutto periodo per Antonella, un brutto periodo che però la donna  non vuole proprio lasciarsi alle spalle. Testimonianze raccontano di come Di Veroli non volesse rassegnarsi a troncare la relazione col fotografo cinquantenne. La donna comincia a frequentare infatti cartomanti e fattucchieri nella speranza che quella relazione clandestina potesse non avere fine. Quella relazione però finisce inesorabilmente, Biffani non mantiene la promessa fatta alla Di Veroli di lasciare la moglie e decide di chiudere i rapporti per sempre.

L’uomo sarà l’unico indagato ad andare a processo, oltre le congetture sul rapporto tra lui e la vittima, Biffani risulta positivo allo stub, un risultato che l’imputato non riesce a spiegarsi. Il processo si apre nel 1995, ma le prove sono deboli e circostanziali, inoltre viene appurato che il test dello stub che diede esito positivo in realtà non apparteneva al Biffani. Si trattava di un errore, uno scambio accidentale avvenuto in laboratorio durante le analisi. Nel 1997 Biffani viene definitivamente scagionato, morirà nel 2003. Nonostante siano state sentite dagli inquirenti 106 persone informate sui fatti, le domande senza risposta sono moltissime e guardando al passato, a quel 10 aprile 1994, a bocce ferme ci si rende conto di quanto le indagini siano state a dir poco approssimative.

La professionista con i due uomini sospettati e poi prosciolti

L’inchiesta: lacune ed errori

Sfogliando le testimonianze che il faldone Di Veroli ci restituisce si scopre che un bossolo calibro 6.35 trovato accanto alla gamba del letto non fu mai analizzato, si scopre altresì che il sacchetto di plastica che diede la morte alla vittima, una volta rimosso dal capo del cadavere, sparisce letteralmente dai reperti della scena del crimine. Sparisce anche il pianale sul quale giaceva il cadavere della Di Veroli, pianale che viene descritto agli atti come macchiato di sangue. Gli invetigatori prendono alla leggera anche alcune piste che avrebbero potuto dare una svolta alle indagini. Un pentito fa correre voce che Antonella si sia infilata in un giro di strozzini fino ad entrare in collisione con i vertici malavitosi del racket. L’omicidio infatti è parso bene organizzato, inoltre la posizione del cadavere suggerisce la presenza di più persone sulla scena del crimine.

Ci sono anche una coinquilina che viene cacciata di casa proprio dalla Di Veroli poco tempo prima del fattaccio e un mistico con precedenti penali a cui la donna si rivolgeva nei momenti più emotivamente significativi. Nessun accertamento verrà fatto in questa direzione. C’è anche un uomo di mezza età notato da un inquilino del palazzo di via Oliva nei giorni prima dell’omicidio. Quest’ultimo sosta abitualmente per lungo tempo davanti alla pulsantiera del citofono fumando nervosamente. Un’altra pista senza seguito fu quella riguardante alcune pagine del diario privato della Di Veroli, un particolare passaggio riporta testualmente: “Io non ho bisogno di offendere per sentirmi realizzata, perché già sono realizzata. Ma se questo ancora il cane sciolto non l’avesse capito o fosse solo invidia, adesso è arrivato il momento giusto per dimostrarglielo“. Non si è mai indagato riguardo quel “cane sciolto” a cui accennava Antonella Di Veroli sul suo diario. Nel 2019 un primo tentativo senza successo per riaprire il caso ed ora, dopo 30 anni, le nuove analisi disposte su alcuni reperti tenteranno di accendere una luce nel buio più fitto. 

La professionista in studio con il suo cane

L’impresa di identificare la mano che premette il grilletto quel dannato 10 aprile 1994 ad oggi risulta davvero ardua. Infondo il caso di Antonella Di Veroli è un vero e proprio enigma della camera chiusa, un delitto che pare uno di quelli della Rue Morgue di Edgar Allan Poe, un omicidio per il quale, essendo l’investigatore Auguste Dupin solo un personaggio di fantasia, sarà difficile trovare i colpevoli.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa