Uccise la figlia e finse il sequestro, al via il processo d’appello per Martina Patti

La donna, condannata a 30 anni per l’omicidio della piccola Elena di 5 anni, ammazzata a coltellate nel Catanese, è pronta a dichiarazioni spontanee.

Catania – Ha preso il via davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Catania, il processo di secondo grado a Martina Patti, la 26enne condannata a 30 anni in primo grado per l’omicidio della figlia Elena Del Pozzo, di quasi 5 anni, uccisa a coltellate nel giugno 2022 a Mascalucia e seppellita in un campo vicino casa. La donna, collegata in videoconferenza, ha espresso attraverso i suoi legali, Tommaso Tamburino e Gabriele Celesti, l’intenzione di rendere dichiarazioni spontanee. La Corte, presieduta da Rosa Anna Castagnola, ha disposto il suo trasferimento in aula per la prossima udienza, fissata al 14 maggio 2025. Accusata di omicidio premeditato aggravato, occultamento di cadavere e simulazione di reato, Patti confessò il delitto ma non ne spiegò mai il movente.

L’udienza di apertura, davanti alla Corte d’Assise d’Appello (giudice a latere Giuliana Fichera), ha visto la relazione introduttiva che ha riepilogato la sentenza di primo grado, emessa il 12 luglio 2024 dalla Corte d’Assise di Catania, presieduta da Sebastiano Mignemi. La condanna a 30 anni – 28 per omicidio, 1 anno e 6 mesi per occultamento di cadavere, 6 mesi per simulazione di reato – aveva accolto le richieste dei pm Fabio Scavone e Assunta Musella, riconoscendo le attenuanti generiche per la confessione e la giovane età della donna, bilanciate con le aggravanti. I legali di Patti, che in primo grado avevano chiesto l’assoluzione per incapacità di intendere e di volere, hanno depositato il ricorso il 25 novembre 2024, insistendo sul vizio totale o parziale di mente, supportati da una consulenza psichiatrica di parte. La Corte ha aggiornato il processo al 14 maggio, quando Patti parlerà in aula, un momento atteso per capire se chiarirà il motivo del gesto.

L’omicidio di Elena Del Pozzo avvenne il 13 giugno 2022. La sera prima, la bambina aveva dormito dai nonni paterni. La mattina, la zia l’accompagnò all’asilo, e Martina Patti andò a prenderla. Tornate a casa, a Mascalucia, la donna uscì nuovamente con l’auto, probabilmente per creare un diversivo. Secondo l’accusa, in quel lasso di tempo portò Elena in un terreno abbandonato vicino casa, dove la colpì con diverse coltellate al collo e alla schiena. Il corpicino fu avvolto in cinque sacchi neri, parzialmente sotterrato con una pala e un piccone. Patti inscenò poi un rapimento, chiamando i genitori e l’ex compagno, Alessandro Del Pozzo, per denunciare un falso sequestro da parte di un commando armato. Accompagnata dai familiari, si presentò dai carabinieri, collegando l’episodio a minacce ricevute da Del Pozzo nel 2021, ma le incongruenze del racconto la tradirono.

Le indagini dei carabinieri del comando provinciale di Catania, coordinate dalla Procura, smantellarono rapidamente la messinscena. Le telecamere non confermarono la presenza di rapitori, e le pressioni durante l’interrogatorio portarono Patti a crollare dopo 18 ore, il 14 giugno 2022. La donna accompagnò i militari nel campo dove aveva nascosto il corpo di Elena, confessando l’omicidio ma senza mai chiarire il movente. Una pista esplorata fu la gelosia verso Del Pozzo, che aveva una nuova compagna a cui Elena si era affezionata, ma l’ipotesi non trovò conferme definitive. Il gip Daniela Monaco Crea, convalidando il fermo, la definì “lucida e calcolatrice”, sottolineando la premeditazione: Patti aveva procurato coltello, sacchi e attrezzi, scegliendo un luogo isolato per il delitto.

I nonni paterni e il padre di Elena, Alessandro Del Pozzo, si sono costituiti parte civile, rappresentati dall’avvocata Barbara Ronsivalle. La famiglia Del Pozzo, distrutta dal lutto, ha sempre chiesto giustizia, definendo il delitto “inspiegabile”. Durante il processo di primo grado, Alessandro testimoniò, accusando l’ex compagna di aver premeditato l’omicidio per vendetta o gelosia. La sentenza del 2024 non soddisfece del tutto i familiari, che avrebbero preferito l’ergastolo, ma accolsero il verdetto come un passo verso la verità.

L’annuncio delle dichiarazioni spontanee di Patti rappresenta un elemento cruciale. In primo grado, la donna si limitò a confermare la confessione, descrivendo un’azione confusa, come se “qualcuno si fosse impadronito di lei”. Non chiarì se l’omicidio avvenne in casa o nel campo, né parlò del coltello, mai ritrovato. La difesa, che punta a una perizia psichiatrica per dimostrare l’incapacità di intendere e di volere, spera che le parole di Patti possano rafforzare questa tesi. Gli inquirenti, invece, attendono di capire se emergeranno dettagli sul movente, rimasto il grande interrogativo del caso. L’autopsia confermò che Elena morì per le coltellate, inflitte con ferocia, forse mentre la madre la abbracciava.

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