Viviamo in un periodo storico in cui si assiste alla corsa a smitizzare abitudini ormai radicate. Questa sorta di febbre riguarda un po’ tutto lo scibile umano, dall’ideologia alla politica, ma anche cose molto concrete, tra cui il modo di cucinare.
Roma – L’arte culinaria non è esente dall’onda revisionistica. Ad esempio il noto quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato un articolo sui cambiamenti nel modo di cucinare i cibi. C’è un acceso e accanito dibattito su come bollire l’acqua per la pasta. Con acqua in abbondanza o in penuria? Sono dilemmi che riguardano lo… spirito, di un certo tenore intellettuale, come non si può prendere a cuore il dibattito?
Ma mica è finita qui. L’acqua deve essere salata, oppure no? E noi restiamo in attesa che i contendenti, dopo un’aspra battaglia dialettico-culinaria, ci diano le loro risposte… al sale. Un altro tema ha trovato vasto consenso. È quello sui funghi, il cui quesito fondamentale, senza il quale non si può sopravvivere è: “Vanno lavati prima o dopo la cottura?” La questione è molto dibattuta.
Ma, secondo The Guardian, se si tratta di funghi freschi mai lavarli, in quanto sono già provvisti di tanta umidità, per cui sottoporli a lavaggio provoca un maggiore assorbimento di acqua, tanto da renderli scarsamente consistenti. Un altro tipo di trattamento va adottato, invece, per i funghi secchi, che prima di essere utilizzati vanno ammorbiditi e vanno bolliti.
Un’altra querelle è sorta intorno all’olio. Quello di oliva va utilizzato solo per il condimento e non per cucinare. Questo assunto è diventato un vero e proprio refrain. Però, è risaputo che l’olio d’oliva di qualità contiene un alto contenuto di grassi saturi e risulta più stabile se riscaldato a temperature elevate.
Mentre gli oli vegetali, con la cottura, si alterano e producono seri fattori di rischio per la salute dei consumatori. L’olio d’oliva, dunque, è ricco di polifenoli e alcuni “extra vergine” di alta qualità ne contengono almeno 30 diversi antiossidanti, che producono benefici sull’invecchiamento e sull’infiammazione, specie di cuore e cervello.
Per quanto concerne il peperoncino, se lo si vuole veramente piccante vanno eliminati i semi dalla membrana bianca che si attaccano alla polpa, altrimenti sanno di niente. Forse non farebbe male un consiglio dai produttori calabresi, che del peperoncino ne sono cultori.
La questione del sale ritorna con prepotenza sulla salatura dei legumi in padella. Qui i due fronti sono contrapposti. Ci sono quelli secondo cui la regola più importante è lasciarli cuocere fino alla cottura, senza aggiungere sale. Il principio su cui si basa questa convinzione è che il sale estrae l’umidità e rende dura la pelle del legume.
Quindi, anche una pur piccola quantità di sale nell’acqua di ammollo o di cottura, ne ritarderà il processo. A scontrarsi a singolare tenzone gastronomica c’è il fronte che dichiara esattamente il contrario. Ovvero il sale va aggiunto in fase di cottura, perché offre un sapore migliore per il fatto che non viene mai assorbito fino in fondo se aggiunto alla fine.
Guai ad abbinare il vino rosso col pesce, perché l’incompatibilità è alta. Ma “del domani non v’è certezza” come scrisse Lorenzo il Magnifico. Nel senso che l’incompatibilità del vino rosso dipende dal pesce. Come riporta il quotidiano britannico:
“Sebbene lo champagne alla 007 si abbini meglio con la sogliola alla mugnaia, gli unici pesci che non ammettono vini rossi sono le specie oleose come sgombro e aringa, che possono liberare i tannini dei rossi più corposi, come un Chianti d’annata, creando un retrogusto metallico”
Ma alla fine della giostra, ognuno può fare come gli pare. Le tradizioni culinarie vanno rispettate, perché fanno parte della nostra cultura. Ma permettersi variazioni sul tema è indice di dinamicità e di voglia di sperimentare nuovi sentieri.