Quattro mesi fa l’iniziativa dei reclusi di Rebibbia guidati da Giovanni Granieri, per smuovere le coscienze sul caos dietro le sbarre.
Torino – Inizia con un grido d’allarme la lettera firmata da 57 detenute del carcere di Torino, che da giovedì 5 settembre sono in sciopero della fame a staffetta e a oltranza. La protesta, che non ha una data di fine, è guidata da Paola, Marina e dalle altre firmatarie che hanno messo il loro nome e cognome sul documento. La carica delle donne, che in una lettera inviata al Capo dello Stato e alla politica denunciano la loro condizione: celle stracolme, disperazione, solitudine e suicidi. Il problema principale, secondo le detenute, è il sovraffollamento. Le donne del padiglione femminile del carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino parlano di “magazzini di corpi” che “stanno per esplodere”.
Le detenute si rivolgono ai parlamentari, ai ministri, e richiamano la Costituzione e i diritti fondamentali, chiedendo di ripristinare “il senso utile della pena”, che ritengono attualmente inefficace. Appellano anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, affinché convinca il Governo a ridurre il numero dei reclusi con soluzioni logiche e umane. Chiudono con un appello alla consapevolezza: “L’unico crimine che vediamo è l’indifferenza”. La lettera si conclude con le firme di Manuela, Fabiola, Tessa, Elisa, Stefania, Corina, Sabrina, Roxana, e Angela e la speranza che comitati e politici possano visitare il carcere per “vedere con i propri occhi” la situazione critica. “Non c’è più tempo, né spazio”, concludono le cinquantasette firmatarie.
La loro è una scelta “pacifica“, sciopero della fame a staffetta e lettera ai politici per richiamare l’attenzione pubblica, del Parlamento e delle Istituzioni sulla situazione di emergenza umanitaria nelle carceri. Chiedono misure per ridurre il sovraffollamento e la liberazione anticipata speciale di 75 giorni. Nel carcere, dove le proteste tra materassi bruciati, rifiuti di rientrare in cella e pestaggi vanno avanti da metà luglio, le detenute scelgono lo sciopero della fame e la penna per “smuovere il più possibile là fuori”. Attraverso gli organi di stampa, cercano di far arrivare il loro messaggio alle Istituzioni.
Le detenute, che già a Ferragosto avevano avviato uno sciopero del carrello rifiutando il cibo fornito dall’amministrazione penitenziaria, denunciano le condizioni di vita fatiscenti e insalubri delle strutture carcerarie. “In queste strutture”, scrivono, “si fa fatica a gestire un’esistenza”. Non è un caso che l’appello arrivi al termine di un’estate definita “rovente” non solo per il caldo, ma anche per il susseguirsi di suicidi, eventi critici, roghi, e ferimenti di detenuti e agenti. L’ultimo episodio, quello di Joussef Moktar Lota Baron, un diciottenne morto a causa di un rogo di un materasso, ha ulteriormente acuito la situazione di emergenza.
Una tragedia nella tragedia quotidiana quella avvenuta ieri a San Vittore: il 18enne egiziano Joussef è rimasto carbonizzato in un incendio scoppiato in una cella del carcere milanese che condivideva con un altro detenuto. La procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo il compagno di cella del detenuto, che non è rimasto ferito. Un’ipotesi tecnica necessaria per procedere con tutti gli accertamenti del caso, tra cui anche l’autopsia sul corpo del giovane. Il rogo è partito da un materasso e non si esclude che possa essere una forma di protesta compiuta da entrambi i detenuti e finita in tragedia.
Una “protesta” quella delle detenute di Torino, che segue quella dello scorso primo maggio a Rebibbia. Anche in questo caso c’era stato uno sciopero nazionale ad oltranza nelle carceri italiane. Con una lettera resa pubblica da Nessuno tocchi Caino, un recluso, Giovanni Granieri, comunicava che dal 27 aprile era iniziata una protesta. “Sono Giovanni Granieri, detenuto presso il Carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Vi scrivo per informarvi che a partire dal 27 aprile – si leggeva nella lettera breve e intensa – avrà inizio uno sciopero nazionale ad oltranza nelle carceri italiane. I detenuti non acquisteranno più la spesa fino a data da destinarsi. Questo sciopero è un atto di estrema necessità per protestare contro le condizioni disumane in cui noi detenuti siamo costretti a vivere. Le condizioni delle carceri, già difficili, sono diventate ormai insostenibili e non mostrano alcun segno di miglioramento”.
Da allora sono passati oltre quattro mesi e la situazione peggiora di giorno in giorno. Tra rivolte, disordini, suicidi e celle sovraffollate.