Il 24 ottobre l’udienza a Milano su applicazione sentenza Corte di Giustizia Ue: se ci sono danni alla salute gli impianti vanno fermati.
Taranto – Il 15 ottobre, a partire dalle ore 15.00, si terrà nello stabilimento siderurgico dell’ex Ilva una cerimonia per l’accensione e ripartenza dell’altoforno numero 1 – fermo da agosto 2023 per manutenzione – alla presenza del ministro delle imprese e made in Italy Adolfo Urso e dei commissari straordinari di Acciaierie d’Italia. Attualmente nello stabilimento è in funzione solo l’altoforno numero 4, mentre oltre all’altoforno 1 che ripartirà la prossima settimana, anche l’altoforno 2, fermo dal gennaio scorso, è sottoposto a interventi di manutenzione.
L’avvio del secondo altoforno, è detto in una nota dell’azienda, “rappresenta un passo importante nel piano di ripartenza di Acciaierie d’Italia e conferma l’impegno dei commissari straordinari, del governo italiano e dell’azienda di procedere al ripristino delle attività produttive dello stabilimento siderurgico”. La visita sarà riservata esclusivamente al ministro e alla sua delegazione, mentre gli ospiti potranno seguire dalla sala conferenze il momento dell’accensione in diretta streaming. Non parteciperà alla cerimonia il sindaco di Taranto e presidente della Provincia, Rinaldo Melucci: lo ha annunciato in una lettera ai commissari straordinari di Acciaierie d’Italia in risposta all’invito a partecipare.
Melucci, spiega in una nota, non ci sarà “per rispetto verso le sofferenze della comunità ionica e con l’intento di non ingenerare alcuna confusione nell’opinione pubblica, riguardo agli sforzi istituzionali che ci vedono collaborare, come più volte ribadito in tutte le sedi, nella esclusiva direzione della radicale riconversione del ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto, come per altro individuato dalle politiche europee, con particolare riferimento alla decarbonizzazione sostenuta dal programma della transizione giusta“. Il primo cittadino spiega che non si tratta di non apprezzare “il lavoro e lo spirito della attuale struttura commissariale, essendo altresì consapevoli delle difficoltà connesse agli equilibri finanziari di Acciaierie d’Italia SpA, alle attuali esigenze occupazionali e finanche all’agenda operativa della citata riconversione, in parte consentita proprio dai fondi europei”.
In una nota il segretario regionale pugliese del Pd, Domenico de Santis, sottolinea che quella della “ripartenza dell’altoforno 1 non è una notizia da festeggiare. Non si può restare sordi di fronte ai preoccupanti report di Ispra e Arpa che continuano a rappresentare forti segnali di allerta per le emissioni pericolose dell’Ilva. Riteniamo che la comunità tarantina meriti che si dia seguito alle promesse: l’azienda deve essere riconvertita, sfruttando le più moderne tecnologie, perché la decarbonizzazione è l’unica strada possibile per garantire il mantenimento dei livelli produttivi, di quelli occupazionali e il diritto alla salute che i cittadini giustamente reclamano da tempo“.
Non sfugge a nessuno che il 13 settembre era caduta come una tegola la notizia che sui presunti disastri ambientali dell’ex Ilva era tutto da rifare e che il processo sarebbe ripartito da zero e da Potenza. La sezione distaccata di Taranto della Corte d’assise d’appello leccese aveva infatti annullato la sentenza di primo grado del processo “Ambiente Svenduto” a carico di 37 imputati e tre società per quanto accaduto negli anni di gestione dei Riva. I motivi di una decisione che ha scosso tutti e mobilitato le associazioni ambientali e a tutela dei parenti delle vittime, sono stati resi noti. In base all’ex articolo 11 del Codice di procedura penale, è sorta una “questione d’incompetenza”, sollevata dalle difese di alcuni imputati, che “trova la sua causa nella circostanza che due delle parti civili costituitesi nel processo avevano svolto le funzioni di giudice di pace e una terza quelle di esperto della sezione agraria del Tribunale di Taranto”.
Con un colpo di spugna si deve ripartire da zero e da Potenza: 26 le condanne in primo grado nei confronti di dirigenti della fabbrica, manager e politici, per circa 270 anni di carcere. La Corte d’Assise aveva stabilito sia la confisca degli impianti dell’area a caldo che la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici, per una somma di 2,1 miliardi. La Corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Antonio Del Coco (affiancato dal giudice Ugo Bassi e dalla giuria popolare) ha letto solo il dispositivo dell’ordinanza, mentre le motivazioni saranno depositate entro 15 giorni. Ma la rabbia delle parti civili, dei parenti delle vittime e delle associazioni ambientaliste è tanta.
Inoltre il 24 ottobre prossimo ci sarà l’udienza al Tribunale di Milano chiamato a decidere sull’applicazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea dello scorso giugno. Quest’ultima ha detto che se ci sono danni alla salute, gli impianti dell’ex Ilva vanno fermati. Il Tribunale di Milano si è rimesso alla Corte UE a fronte di un esposto di cittadini di Taranto che hanno chiesto la chiusura della fabbrica. In particolare, il Tribunale ha chiesto, con un rinvio pregiudiziale alla Corte del Lussemburgo, se i provvedimenti adottati verso l’ex Ilva abbiano violato o meno il diritto comunitario. Altro nodo giudiziario è costituito dalla riassunzione al Tar di Lecce del giudizio sull’ordinanza del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, di maggio 2023, che imponeva la fermata degli impianti inquinanti. L’udienza si terrà il 10 febbraio 2025. L’ordinanza è attualmente sospesa, ma il Comune ha chiesto di riprendere la discussione a valle della sentenza della Corte Ue.