Svolta nel caso Liliana Resinovich: il marito indagato per omicidio

“Non ho nulla da temere” ha dichiarato Sebastiano Visintin. Che si è visto recapitare la notifica dopo la perquisizione della casa.

Trieste – Svolta nell’inchiesta sulla morte di Liliana Resinovich, la 63enne triestina trovata priva di vita il 5 gennaio 2022 in città. Il marito, Sebastiano Visintin, è stato ufficialmente iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio. La notifica dell’avviso di garanzia è arrivata dopo una perquisizione condotta martedì nella sua abitazione, durata oltre sette ore.

Il cambio di passo nell’indagine è stato reso pubblico tramite la trasmissione Quarto Grado e il quotidiano Il Piccolo. In un’intervista televisiva, Visintin ha affermato: “La Procura ha le sue ipotesi. Con i miei legali cercheremo di capire quali siano le accuse nei miei confronti. Io sono tranquillo, non ho nulla da temere. Continuerò la mia vita come sempre”.

Secondo indiscrezioni, gli agenti della Squadra Mobile di Trieste, guidata da Alessandro Albini, non sarebbero usciti a mani vuote dalla perquisizione. Visintin ha riferito a Il Piccolo di essere rimasto sul divano durante tutta l’operazione e di non sapere quali ambienti siano stati ispezionati.

Paradossalmente, l’avvocato stesso aveva auspicato che il suo cliente venisse formalmente indagato: ciò avrebbe potuto stemperare la pressione mediatica e, forse, spingerlo a evitare apparizioni televisive. “Gli ho sempre consigliato di non esporsi troppo – aveva detto al Corriere – perché anche chi è innocente, messo sotto torchio da mille domande, può inciampare in qualche contraddizione. E infatti è successo”.

L’indagine sulla scomparsa e la morte di Liliana era apparsa fin da subito complessa. La donna era uscita dalla sua casa il 14 dicembre 2021 alle 8.30 del mattino, senza fare ritorno. Il suo corpo fu ritrovato tre settimane dopo in un parco pubblico, rannicchiato in posizione fetale, all’interno di due sacchi neri.

Inizialmente si era ipotizzato un suicidio, ma tale teoria è stata smentita da una perizia specialistica condotta dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, insieme a Biagio Eugenio Leone, Stefano Tambuzzi e l’entomologo Stefano Vanin. Gli esiti hanno escluso qualsiasi elemento tecnico-scientifico a sostegno del suicidio. Al contrario, segni di lotta come graffi, colpi e afferramenti suggerirebbero un’aggressione. L’indagine, dunque, si è ufficialmente indirizzata verso l’ipotesi di omicidio. All’inizio senza indagati. Adesso, invece, un nome c’è.

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