Guido Rispoli difende la sentenza e attacca alcune trasmissioni per aver fornito narrazioni “unidirezionali”.
Brescia – “È finita come ero convinto che dovesse finire”. Con queste parole il Procuratore generale di Brescia, Guido Rispoli, ha commentato la decisione della Corte di Cassazione, che il 27 marzo 2025 ha confermato il no alla revisione del processo per Rosa Bazzi e Olindo Romano, ergastolani per la strage di Erba. In un’intervista al Giornale di Brescia, Rispoli ha espresso soddisfazione per l’esito, ma ha lanciato un duro monito contro la narrazione mediatica che, a suo avviso, ha distorto la percezione pubblica del caso.
La strage, avvenuta l’11 dicembre 2006 in una corte di Erba (Como), vide l’uccisione di Raffaella Castagna, suo figlio Youssef Marzouk, la nonna Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini, con il tentato omicidio di Mario Frigerio, unico superstite. Rosa e Olindo, vicini di casa delle vittime, furono condannati all’ergastolo nel 2008 (conferma in Appello nel 2010 e in Cassazione nel 2011) sulla base di confessioni poi ritrattate, della testimonianza di Frigerio e di tracce biologiche. Negli anni, i loro legali – Fabio Schembri e Luisa Bordeaux – hanno chiesto la revisione, portando nuove perizie su intercettazioni ambientali e un superteste, l’idraulico Mario Panzeri, che avrebbe smentito la dinamica dell’accusa.
L’istanza, discussa l’estate scorsa davanti alla Corte d’Appello di Brescia, è stata rigettata il 18 ottobre 2024. Rispoli, con il pg Domenico Chiaro, ha sostenuto la solidità delle prove: il dna di Raffaella sul coltello di Olindo, il sangue di Olindo sulla scena, le confessioni dettagliate. “Non c’erano elementi nuovi per ribaltare il verdetto”, ha ribadito Rispoli. La Cassazione, accogliendo il ricorso della Procura contro la possibilità di un’ulteriore udienza, ha chiuso la porta alla revisione, sancendo – salvo improbabili ricorsi alla Corte Europea – la fine della saga giudiziaria.
Ma il pg non si limita a difendere la sentenza. Punta il dito contro i media: “Tante trasmissioni, spesso di intrattenimento più che giornalistiche, hanno raccontato i fatti in modo unidirezionale, ignorando le prove contrarie. Hanno condizionato pesantemente l’opinione pubblica”. “È una grave problematica”, insiste Rispoli, “perché si rischia di minare la fiducia nella giustizia”.