Persiste il divario Nord-Sud: a Milano un lavoratore percepisce 31200 euro annui, mentre a Palermo 16300, e il bilancio familiare ne risente.
Roma – Com’è dura per una famiglia-media italiana sbarcare il lunario! Ogni media famiglia conosce sulla propria pelle quanto sia difficile, peggio che scalare l’Everest, far quadrare i conti per arrivare a fine mese. Oltre a preoccupazioni economiche, questo stadio produce anche ansia e angoscia per non riuscire a rispettare gli impegni ordinari. Quindi, effetti non solo pratici, di vita quotidiana, ma anche collaterali che incidono pesantemente sulla sfera psicologica. I dati diffusi dall’Istat nel mese di ottobre ci hanno… donato la gioiosa notizia che la spesa media mensile per consumi delle famiglie italiane è cresciuta del 4,3% rispetto ai due anni precedenti. Situazione che si è esacerbata per l’effetto erosivo dell’inflazione, col conseguente calo del potere d’acquisto dei già magri stipendi italiani, al punto che il costo della vita è superiore al salario medio mensile di ogni lavoratore. La pressione economica sta aggredendo violentemente le famiglie italiane proprio perché si assiste ad una stagnazione dei salari.
Secondo la CGIA di Mestre, l’associazione di categoria delle piccole e medie imprese italiane, lo stipendio lordo nel settore privato oscilla dai 1600 euro lordi mensili ai 1900, con forti differenze tra Nord e Sud del Paese. Ad esempio. A Milano un lavoratore percepisce circa 31200 euro annui, mentre a Palermo 16300. Pur non essendo degli economisti è evidente quanto il costo della vita incida sul bilancio familiare. Se poi si tratta di famiglie monoreddito, allora l’impresa, per garantire spese per vitto, utenze domestiche, affitti o mutui ed altri beni essenziali, diventa titanica. Negli ultimi anni l’arda lotta tra salari e spese familiari, con i primi soccombenti, sta lasciando disagi e macerie. Il vulnus che rende difficilissimo il contesto è provocato da quella iena famelica dell’inflazione che coi suoi acuminati artigli colpisce il cuore di una famiglia, per cui gli affanni possono anche trasformarsi in letali.
L’anno scorso la perfida inflazione è arrivata al 5,9% e quest’anno il trend è in crescita, provocando una riduzione del potere d’acquisto dell’1,5%. Le famiglie sono state costrette dagli eventi a fare una revisione della spesa, già non eccelsa, rivedendo alcune spese importanti e per i più fortunati sottraendo risorse ai risparmi accumulati, che in questo modo rischiano di estinguersi. Secondo gli esperti dell’Istat per proteggere il potere d’acquisto, i salari dovrebbe essere allineati all’inflazione. In questo modo chi percepisce, in media, 1600/1900 euro al mese, calcolando l’inflazione al 5,9%, dovrebbe trovare in busta paga un aumento di 100 euro. Se a questo si aggiunge, però, la perdita del potere di acquisto delle retribuzioni passate l’aumento complessivo sarebbe di 120/130 euro.
Infine, estendendo l’analisi a più città o quartieri, dove il costo della vita è ancora più alto della media considerata, l’incremento dovrebbe essere maggiore. Questi piccoli aumenti sono paragonabili all’accanimento terapeutico, come quei farmaci che vengono erogati al paziente in condizioni irreversibili per cui si sa già che morirà. Se non si investe in una serie politica dei redditi, ossia in un piano concertato tra imprese e sindacati orientato alla crescita dei salari grazie a quella della produzione e degli utili d’impresso, allora qualsiasi piccolo aumento di reddito, sarà come aver fatto l’elemosina ad un mendicante. Si gratifica la coscienza, forse, qualora i decisori politici ne avessero una, ma il problema persiste!