“Giovani italiani mammoni e pigri”: uno stereotipo intriso di pregiudizi dietro al quale la classe politica inadempiente nasconde il suo fallimento.
Roma – La maggior parte dei giovani resta a casa dai genitori! La cronaca è piena di notizie di imprenditori italiani che si lamentano perché non trovano lavoratori, o meglio, la cui voglia di lavorare è pari a zero. Tipico pregiudizio caratteristico di ogni epoca storica.
Siamo, però, l’unico Paese europeo in cui, da 30 anni, non crescono i salari. E non è un’opinione da osteria, scaturita dopo che si è alzato il gomito, ma quanto afferma un report dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che effettua ricerche economiche per i Paesi membri, aventi in comune un’economia di mercato e forme di governo democratico.
Se a questo si aggiungono, spesso, gli stages sotto pagati o, peggio, non pagati affatto, allora siamo di fronte a un quadro a tinte molto fosche. Inoltre, in queste condizioni, come meravigliarsi se si vive con mamma e papà fino a tarda età e non si riesce a mettere su famiglia?
Un tempo, in tono dispregiativo, venivano definiti “mammoni”, coloro che vivevano tutta la vita da figli, senza mai diventare autonomi rispetto all’ingombrante figura materna. Quelli per cui la compagna, moglie o fidanzata verrà sempre al secondo posto.
Un’altra locuzione che balzò agli onori della cronaca fu “Mandiamo i bamboccioni fuori di casa”. Era il 2007 e l’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa del secondo governo Prodi coniò questo termine per indicare una generazione di giovani secondo lui troppo pigra e legata alle famiglie di origine.
Definizioni a parte, i numeri non mentono. Secondo l’ISTAT, l’Istituto Nazionale di Statistica, nel 2022 il 67,4% dei 18-34 enni vive coi genitori. Quasi otto punti in più rispetto a vent’anni prima. In Campania è stata registrata la percentuale maggiore di giovani sotto i 34 anni di età che vivono sotto le protettrici ali familiari. Il Centro Nord è sotto la media nazionale, a conferma dei differenti contesti socio-economici: il Centro Nord, più avanzato, con possibilità lavorative per i giovani, e il Sud che arranca, da cui scaturisce un ulteriore depauperamento per l’alta emigrazione, interna ed estera, di giovani con alti titoli di studio.
Infatti, l’ISTAT ci ha tenuto a precisare che “Il mercato del lavoro penalizza fortemente questa fascia d’età”. Vista la situazione oggettiva, sarebbe quasi da rimpiangere l’iconica “Generazione 1000 euro”, il film del 2009 diretto da Massimo Venier e tratto dal romanzo omonimo di Antonio Incorvoia e Alessandro Rimassa. È la storia di un giovane matematico, con dottorato e master, che, in attesa dell’agognato posto, si deve arrangiare con lavori di basso livello. Il film viene ricordato anche per l’iconica frase: “Questa è l’unica epoca in cui i figli stanno peggio dei padri.”
Un assunto confermato dai numerosi contratti part-time, sottoscritti in gran parte da giovani e donne. Non si tratta di una scelta, per cui la giornata si dividerebbe tra una parte per il lavoro ed un’altra per sé stessi, ma di una costrizione. La cronaca ci racconta che, mentre si immagina di poter conciliare vita e lavoro, la cruda realtà è più spietata. Ci si può trovare, infatti, a sentirsi dire che bisogna ridurre l’orario di lavoro pena il licenziamento! Quindi: o si accetta il part-time o addio lavoro!
Sempre l’ISTAT ci dice che nell’ultimo decennio le lavoratrici part-time sono cresciute del 107,8%. L’espulsione delle donne dal lavoro è un danno per tutta la collettività. Più cresce la ricchezza del Paese, maggiori sono le opportunità per tutti. Invece di utilizzare una terminologia intrisa di pregiudizi, le istituzioni politiche dovrebbero attuare politiche di welfare mirato. Come i dati hanno dimostrato, finora, sono state inadempienti!