Entrambi sono a rischio estinzione e se al governo tornerà Bolsonaro lo sfuttamento del Polmone del Mondo potrebbe raggiungere i massimi storici con risvolti negativi per la salute dell’intero Pianeta. Lula, il candidato che si antepone a Bolsonaro, è sempre stato più sensibile alle istanze delle tribù locali che chiedono solo di vivere e di essere rispettate.
Roma – I guardiani dell’Amazzonia a rischio genocidio. L’Amazzonia e con essa i suoi abitanti sono a rischio di estinzione. E’ risaputo quando sia importante questa regione del Brasile per l’ambiente in generale, tanto da essere definita “il polmone del mondo”. I suoi abitanti, tribù indigene, sono stati definiti “i guardiani della biodiversità”. Il rischio è maggiore se a vincere il ballottaggio per le elezioni presidenziali, che si terrà il prossimo 30 ottobre, sarà Jair Bolsonaro, presidente uscente. A contendergli la presidenza c’é Luiz Inacio Lula da Silva, già sindacalista ed ex presidente del Brasile. Il primo è il leader di PL, il Partito Liberale, il secondo di PT, il Partito dei Lavoratori.
Secondo Survival International, un’organizzazione mondiale a difesa dei popoli indigeni, il più pericoloso è Bolsonaro, che di liberale ha solo il nome del partito, in quanto ha governato, finora, con metodi niente affatto democratici. Negli ultimi 4 anni della sua presidenza ha tentato continuamente di sfruttare i territori indigeni per l’agro business, il taglio del legno e le attività minerarie. La competizione elettorale resta in bilico, ma per chi ha a cuore le sorti del popolo indigeno la vittoria di Bolsonaro produrrebbe ancora più danni di quanti ne abbia commesso finora. La situazione potrebbe rivelarsi meno pessimistica con la vittoria di Lula, ma l’impresa sarebbe, comunque, complicata, vista la forza dei gruppi economici che appoggiano Bolsonaro. In realtà continua Survival nessuno governo ha mai rispettato gli obblighi costituzionali nei confronti dei popoli indigeni.
Quando entrò in vigore la Costituzione nel 1988, al governo erano stati concessi 5 anni di tempo per tracciare i territori indigeni in attesa di riconoscimento. A tutt’oggi sono ancora 200 quelli che l’aspettano. Anche Lula, in passato, ha sostenuto progetti contro la volontà delle popolazioni locali. Ad esempio, la mega diga di Belo Monte, sul fiume Xingu. Comunque, al contrario del suo rivale, ha riconosciuto decine di territori, come Raposa–Serra do Sol, che si trova nell’Amazzonia settentrionale e che da troppi anni era terra di conquista di allevatori di bestiame e coltivatori di riso. Col governo di Bolsonaro, i livelli di deforestazioni sono cresciuti a dismisura, insieme agli omicidi di indigeni e agi attacchi ai loro villaggi. Rispetto al 2018, i territori invasi da taglialegna, minatori e imprenditori agricoli sono aumentati del 180%.
Inoltre sono stati tagliati i fondi e bloccati gli organi governativi deputati alla difesa di queste terre e dei loro abitanti, come il FUNAI (Fondazione Nazionale dell’Indio) e l’IBAMA (Istituto Brasiliano dell’Ambiente e delle risorse naturali rinnovabili). Lula si è mostrato più sensibile alle rivendicazioni degli indigeni. Così come è crescita, rispetto al passato, la loro partecipazione politica. La speranza che queste terre ed i loro guardiani vengano salvaguardati è tanta. Anche perché la loro distruzione provocherebbe danni a catena per le sorti dell’ambiente.