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Sommersi da un…mare di plastica

Viviamo completamente circondati dalla plastica. Ovunque si giri la testa ci si imbatte in questo materiale inquinante il cui smaltimento è ormai un grosso problema. Da allarme rosso.

Roma – Qualunque cosa si tocchi, qualunque cosa si aggiusta, si può stare certi che si ha a che fare con la plastica. Certo che ne è passato di tempo dai suoi albori. La storia ha inizio nel XIX secolo, tra il 1861 e 1862, quando l’inglese Alexander Parkes, inventore e chimico, nello sviluppare gli studi sul nitrato di cellulosa, isolò e brevettò il primo materiale plastico semisintetico, che denominò Parkesine, meglio noto come Xylonite.

Essendo un materiale di molti composti organici sintetici o semisintetici, malleabili e modellabili in oggetti solidi, è immediatamente stato perfettamente in sintonia col modo di produzione capitalistico, impostosi con la rivoluzione industriale. Quest’ultimo ha come obiettivo oltre al profitto, la produzione delle merci o servizi in modo accelerato e utilizzo intensivo delle risorse naturali ed energetiche. Per la cronaca, è da segnalare che la plastica viene realizzata con petrolio, carbone e gas naturali. Ora, è noto che essa ha avuto tanta diffusione per la sua comodità, per il fatto che si può usare e poi smaltire, il famoso “usa e getta” che è diventato il leitmotiv della nostra vita quotidiana.

Siamo sommersi dalla plastica

Ed è altrettanto noto che, nel tempo, i nostri mari sono diventati l’habitat abituale della plastica, per tutto quello che vi viene riversato. Lo scorso 4 marzo 2023, dopo anni di negoziati, l’ONU ha approvato un accordo per la tutela dell’alto mare. Con questo termine si intendono le acque internazionali che iniziano a 200 miglia marine dalla costa. L’obiettivo dell’High Seas Treaty (Trattato per la Protezione dell’Alto Mare) è quello di rendere il 30% delle acque internazionali entro il 2030 aree marine protette. E’ un accordo storico, tuttavia, la quantità di plastica che si può trovare nei mari è terribilmente alta. Il 5 Gyres Institute di Los Angeles, USA, è un centro di ricerca sull’inquinamento da plastica nei mari.

Analizzando una serie di quasi 12 mila dati relativi all’inquinamento e proveniente da ogni parte del mondo, si è calcolato che il peso di tutta la plastica negli oceani a livello globale è di circa 2 milioni di tonnellate. Col ritmo attuale, il tasso di plastica che invaderà gli ambienti acquatici, entro il 2040, potrebbe cresce di 2,6 volte, secondo le stime dei ricercatori. Bella prospettiva se consideriamo che entro il 2050 la plastica potrebbe essere più numerosa dei pesci! Come è stato osservato dagli autori della ricerca: “La pulizia è inutile se si continua a produrre plastica coi ritmi attuali”. Inoltro nei loro studi gli scienziati hanno coniato un nuovo termine “plasticosi”.

Plastica sempre più presente nelle spiagge

E’ una condizione che riguarda gli uccelli marini e colpisce il loro stomaco ed incide sulla loro capacità di ricavare nutrienti dal cibo. Una situazione che se non arginata potrebbe causare la loro estinzione. Il trattato è sicuramente importante. E’ un passo necessario ma non ancora sufficiente, perché la formulazione e l’attuazione degli obiettivi specifici appaiono molto lacunose. Coi vari accordi raggiunti su una serie di tematiche da raggiungere entro il 2030, oltre al succitato accordo è da ricordare l’impegno a mantenere la temperatura globale del pianeta entro 1,5° C e a ridurre le polveri sottili, le istituzioni politiche internazionali rischiano di andare in confusione e produrre più danni di quelli che hanno già provocato. D’altronde cosa si pretende. Un vecchio adagio popolare recita: “Chi va per questi mari, questi pesci piglia!”

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