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Smart working: crolla il totem della pandemia, stop a rivoluzione del lavoro

Tutte le novità a “Cisco Live 2024”: il cambio di passo è ostacolato dalla struttura degli uffici inidonei a raccogliere “il gregge”.

Roma – Che fine ha fatto lo smart working? Durante la pandemia apparve un totem, lo smart working (lavoro a distanza), che avrebbe rappresentato la panacea per tutti i problemi organizzativi e aziendali. Si lavorava a distanza, evitando il contagio dal Covid-19, il perfido virus che sconvolse la nostra vita. Si evitava il traffico perché si stava a casa e non si inquinava. Eppure dopo qualche anno, “contrordine compagni”, si cambia registro. La tanto esaltata rivoluzione del lavoro è pronta all’estrema unzione o, quantomeno è vittima di un rallentamento. Però il cambio di passo è ostacolato dalla composizione degli uffici e dalla loro struttura non più idonei a raccogliere “il gregge”. Nel mese di febbraio si è tenuto il consueto evento annuale “Cisco Live 2024”, in cui sono state annunciate le novità tecnologiche di quest’anno.

Oltre all’immancabile e onnipresente Intelligenza Artificiale (IA), è emerso che sia i datori di lavoro che i dipendenti sarebbero favorevoli ad un parziale ritorno in ufficio, ma mancano gli spazi per soddisfare le esigenze di un lavoro ibrido. La ricerca ha riguardato 7 Paesi del Vecchio Continente: Spagna, Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Polonia e Paesi Bassi. Il 77% dei dipendenti ha sostenuto che gli uffici non sono idonei per il lavoro ibrido, in quanto pensati per un tipo di lavoro individuale e non di gruppo. Inoltre, la gran parte del management è stato del parere che l’esperienza dei lavoratori da remoto sia stata meno proficua a quella in ufficio.

Per quanto riguarda il Belpaese, è stato rilevato che, tra i dirigenti d’azienda, più dei 2/3 sono favorevoli al ritorno in ufficio parziale o totale, perché vengono soddisfatte tre condizioni principali: cultura del lavoro, produttività e comunicazione di gruppo. Tra i dipendenti, più o meno la stessa percentuale, riscontrata anche a livello europeo, desidera tornare in ufficio perché si realizzano più collaborazione, senso di appartenenza e riunioni intensive per la soluzione dei problemi. Ma, come spesso succede nella vita, i desideri non sempre o quasi mai si realizzano. I dirigenti e i lavoratori desiderano tornare in azienda, ma gli ambienti di lavoro sono stati pensati per altro e non per il lavoro ibrido. Infatti, sia in Italia che in Europa, la percentuale di chi ritiene l’ufficio adeguato per il lavoro ibrido, è molto bassa, il 23%.

Otre la metà degli ambienti di lavoro, come negli altri Paesi europei, è stato realizzato per spazi individuali, quasi a voler allontanare la concezione di ambienti ibridi, in cui emergono la cultura del lavoro d’equipe. Il 73% dei dipendenti pensa che gli spazi attuali non favoriscono la produttività in ufficio, così come le sale conferenze esistenti. I manager, inoltre, hanno ritenuto che l’esperienza effettuata dai lavoratori in remoto non abbia lo stesso valore di quella in loco. Tale differenza è talmente consolidata che rendere l’ufficio attraente è la conditio sine qua non per farvi tornare i lavoratori.

Si pensa, infatti, nel prossimo biennio, di riprogettare gli spazi di lavoro, soprattutto quelli per le riunioni e di impiegare tecnologie e infrastrutture di lavoro ibride, sul ripensamento della disposizione dei locali e, poiché è molto “politically correct” affermarlo, sul realizzare elementi sostenibili ed ecocompatibili. Ora tutto va bene se è rivolto al benessere personale e collettivo di chi lavora, sia per i vertici che per i dipendenti. Quello che stride è la concezione ondivaga dei fenomeni sociali, come succede con la moda. Dipende dai periodi e dal mercato se “tira” oppure no. Non si può dipendere dall’onda del momento, anche perché nel caso in questione, appena terminati i lavori per allargare gli spazi, può capitare che bisogna restringerli. Un tira e molla che non fa bene a nessuno.  

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