La moda di indossare abiti “non stirati” dilaga tra i giovani (e non solo). Ma è davvero giusto giudicare solo dalle apparenze?
Roma – Va di moda l’abbigliamento sgualcito. Una volta le nostre nonne si raccomandavano di vestirsi sempre in ordine, con pantalone e camicia ben stirate, perché ovunque si andasse bisognava essere “a posto”. Da ragazzini si seguiva il consiglio un po’ a malincuore, in quanto l’unico desiderio era correre in strada a giocare.
La tradizione è andata avanti per un bel po’, tanto che in ogni casa il ferro da stiro e la macchina da cucire erano due utensili che non potevano mancare. Bisognava essere “in tiro” quando si andava a scuola, a un colloquio di lavoro, fuori a cena, a una riunione a cui non si poteva mancare, perché vigeva la convinzione che essere vestiti in maniera trascurata era una mancanza di rispetto verso se stessi e le altre persone.
Col diffondersi dei “jeans”, la tradizione è iniziata a incrinarsi e per gli adolescenti indossarli “stropicciati” ha rappresentato il primo gesto di libertà. Poi è arrivata la moda a far vacillare questa usanza. C’è da dire che col lino e le altre fibre naturali delicate ci si poteva vestire in maniera un po’ sgualcita ma con eleganza. Adesso questa peculiarità si è trasferita ad altri tipi di tessuto come la lana e il raso e ad abiti, forse, tolti dall’armadio senza aver visto nemmeno da lontano, l’ombra di un ferro da stiro. Gli esperti del settore sostengono che questo modo di apparire nasconde diversi significati, tra cui: pigrizia, disorganizzazione del tempo o il “guardaroba a capsule” ridotto all’osso.
Quest’ultimo è un concetto di moda ideato negli anni ’70 da Susie Faux, una stilista londinese. L’idea di base è di avere un numero limitato di capi di abbigliamento di alta qualità e facilmente combinabili, che possono essere indossati in molteplici modi e in diverse occasioni. Ma potrebbe essere il sintomo di un gran voglia di libertà. Probabilmente non è solo un modo di non seguire il vecchio modo di vestirsi, ma rappresenta, semplicemente, la volontà di sentirsi bene con indumenti “informali”. D’altronde durante il lockdown ci si è sbizzarriti con indumenti alla meno peggio e ora va di moda un’immagine meno standardizzata o meno inappuntabile.
E’ vero che il look può esprimere molto di sé, ma la moda dei vestiti sgualciti non è più segno di trascuratezza ma di libertà. Una maniera, banale forse, per dedicarsi del tempo, in un momento storico in cui le ore dedicate al lavoro crescono sempre di più, non riuscendo a distaccarsi da esso, almeno per chi ha la fortuna (?) di averlo. Quindi mettiamo fine alla mania dell’essere tutti “stirati” e non diamo importanza se la camicia è un po’ stropicciata o se i jeans sono stati indossati appena asciugati. In fondo la cura di sé non si esprime solo attraverso un abbigliamento “idoneo”. Ma dal portamento, dall’eleganza dei movimenti e della gestualità.
Se si riesce a dedicare del tempo, invece che a stirare, a fare le cose che piacciono, fare una passeggiata senza pensieri o leggere qualche libro sepolto dalla polvere da troppo tempo, sarebbe una cosa buona e giusta. Un proverbio italiano, presente anche in altre lingue, dice che: “L’abito non fa il monaco”. L’espressione invita a diffidare delle apparenze, non di rado ingannevoli, nel giudicare una persona, evitando quindi di esprimere valutazioni precipitose e superficiali sul conto di qualcuno. Spesso le persone non sono come appaiono a prima vista, anzi molte volte sono l’opposto. Questo vale anche per gli indumenti che si indossano. Non è detto che un abito sgualcito significa che la persona che lo indossa sia trasandata o rozza, tutt’altro. Può esprimere che è libero di vestirsi come le pare, senza rendere conto a chicchessia!