Conte non dovrebbe cedere alle lusinghe delle sirene. Piuttosto riagganciare i 5 Stelle, gli unici un po’ più euroscettici sullo strumento finanziario capestro. Nulla di buono all’orizzonte.
Via libera ai finanziamenti per il 2% del Pil per spese sanitarie dirette e indirette. Il Mes è stato approvato dall’Eurogruppo e il governo italiano si è spaccato in due. La linea di credito da 37 miliardi con un tasso fisso dello 0,1% potrebbe entrare in funzione dal 1° giugno 2020. I pareri in merito, però, sono discordanti. Tra chi ha accolto l’iniziativa europea come una vera e propria vittoria italiana e chi, invece, guarda al Meccanismo di stabilità come una trappola, emerge una situazione contorta e di difficile lettura. Nicola Zingaretti, tramite il suo account di Facebook, si dimostrava soddisfatto:
“…Oggi è stato fatto un altro passo avanti, sarà possibile usare il Mes senza condizioni per gli investimenti in sanità – dice il governatore laziale – una grande opportunità per l’Italia: 37 miliardi di euro per ospedali, assunzioni di medici, infermieri, personale, investimenti per nuovi farmaci e cure. Costruiamo un grande piano con le Regioni per la rinascita italiana e per migliorare la vita delle persone…”.
A fare da eco al leader del Pd si è unito anche Gentiloni, il quale sembrava sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda: “…L’accesso non è uguale per tutti, ma ovviamente è più vantaggioso per i Paesi che hanno dei tassi di interesse più elevati – ha detto l’ex giornalista – dunque hanno più convenienza ad avere dei prestiti con una scadenza piuttosto lunga e con tassi di interesse più bassi di quelli che normalmente Paesi come la Spagna o l’Italia avrebbero. Questo è il vantaggio: lunga scadenza e tassi di interesse più favorevoli…”.
I facili entusiasmi, però, sono stati frenati dall’altro gruppo di governo: il Movimento 5 Stelle. Il Meccanismo di Stabilità, infatti, rimane una linea di credito con forti condizionalità endemiche alla sua stessa esistenza. Partendo dal presupposto che i 37 miliardi andrebbero ad interessare solamente il settore sanitario, escludendo dunque il campo industriale, del lavoro, della vendita al dettaglio e del turismo, siamo proprio sicuri che l’Europa della finanza abbia mutato così repentinamente il suo indirizzo, trasformandosi in un’organizzazione filantropica? La risposta sembra ovvia: no. Infatti come si legge nel punto 3 del testo redatto dall’Eurogruppo: “…Le norme del Mes continuano ad applicarsi…”. Inoltre il Meccanismo continuerà a contare sul “Erly Warning Systemy (sistema d’allarme preventivo sulla solvibilità del debitore). E allora, cosi facendo, ci chiediamo: quali sarebbero le conseguenze se l’impatto della crisi sul medio e lungo periodo fosse così devastante da rendere difficoltoso adempiere al prestito nonostante il basso tasso d’interesse? Anche qui la risposta è ovvia e ci viene fornita dall’articolo 12 dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea dove c’è scritto:
”…Le misure preventive possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche fino al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite. In caso di mancato pagamento da parte di uno Stato membro dell’Esm, di qualsiasi parte dell’importo da esso dovuto a titoli degli obblighi contratti in relazione a quote da versare, detto membro non potrà esercitare i propri diritti di voto per l’intera durata di tale inadempienza…”.
Non solo, se l’inadempienza diventasse preoccupante la Bce, potrebbe valutare: “…La sostenibilità del debito pubblico – sottolinea l’articolo 13 del TFUE – e se opportuna e possibile, tale valutazione dovrà essere effettuata insieme al FMI…”. Hai detto niente.
In sostanza il prestito erogato dall’Europa tutto sarebbe tranne che privo di condizioni. Il rischio più grande, ma neanche troppo fantasioso, è che nell’impossibilità di assolvere a quanto dovuto si inneschi una serie di misure di austerity che peserebbero enormemente sulla microeconomia nazionale. Le prime azioni andrebbero probabilmente a interessare le pensioni, con tagli sulle rette superiori ai 1.000 euro e la Naspi. Si potrebbe aggiungere l’aumento dell’Iva e maggiori tassazioni sui contratti. Quest’ultimo aspetto spingerebbe ancor di più i datori di lavoro a incentivare la pratica del lavoro nero, con un nuovo incremento dell’evasione. Le tasse andrebbero a interessare anche i grandi capitali, che, data la debolezza del “Decreto Dignità”, risponderebbero con nuove delocalizzazioni. E dunque via libera a nuove perdite nell’indotto industriale e aumenti della disoccupazione. Come avevamo detto pochi giorni fa, ancora una volta l’Europa politica lascia il peso della crisi economica sulle spalle dei governi nazionali. Le autocelebrazioni provenienti da Bruxelles rischiano di scaraventarsi sul muro della microeconomia reale. Il Mes non appare come lo strumento più adatto a sanare la regressione ma più un mezzo strategico per mantenere la sovranità comunitaria sui singoli Stati, e, ancora una volta, a pagarne le conseguenze sarebbero i lavoratori e i piccoli imprenditori.
In ultimo il premier Conte è sembrato scettico in merito al Meccanismo di stabilità, cercando di riportare l’attenzione sui Recovery Fund, anch’essi non privi di condizioni, ma comunque più adeguati del Mes. “…Senza i Recovery Fund – ha dichiarato Conte- Sure, Bei e Mes sarebbero insufficienti…”.
Insomma, alla luce della nuova delibera dell’Eurogruppo, l’Unione Europea appare sempre più traballante, quasi incapace di far fronte alla gravità della situazione. Il Mes verrà discusso nelle prossime ore in Parlamento. Dall’esisto delle votazioni capiremo se ad essere in pericolo sia soltanto Bruxelles o anche Palazzo Chigi.