Il destino dei risparmi degli italiani è quanto mai incerto. A pesare sono gli aumenti del costo della vita, ma anche la diffidenza dei risparmiatori verso le banche.
Roma – “Prendi i soldi e scappa!“. Chi ha superato gli “anta” da un bel po’, ricorderà che era il titolo di un film di Woody Allen, sempre geniale nel raccontare gli aspetti più stravaganti della vita. Il film raccontava la storia di un certo Virgil Starkwell, un incapace e inadeguato rapinatore di banche, alle prese con i risvolti grotteschi della sua attività. Il titolo ha fatto capolino nei ricordi di fronte a una situazione che si sta consolidando negli ultimi tempi. Ovvero, i risparmiatori stanno prelevando i loro risparmi per investirli in altro modo se si è nelle condizioni economiche di farlo o utilizzarli per attingere alle incombenze della vita, visto i bassi salari, con cui non si riesce nemmeno a sbarcare il lunario. Quindi, i conti si sono rivelati talmente… correnti, tanto da darsi alla fuga! Solo che nel caso in questione non si tratta di tragicomiche rapine come nella narrazione cinematografica, ma di risparmi personali, spesso depositati col sudore della fronte.
Una considerazione di primo acchito può essere che questo dato di fatto rappresenta una diffidenza sempre più marcata dei risparmiatori verso le banche. Come non dare loro ragione? Del resto prelevare qualcosa come ben 71 miliardi di euro è un fatto che non ha nulla di consueto. Non si tratta di bruscolini, ma di moneta sonante, non più digitalizzata, ma custodita nelle casseforti delle banche. I dati, nudi e crudi, ci raccontano che i conti correnti bancari sono diminuiti del 3,4%. Alla fine dello scorso anno l’ammontare era di 2.065 miliardi di euro, mentre dopo sei mesi di 1.994 miliardi. Il risultato è frutto del calcolo tra i soldi reinvestiti nei conti correnti, 59 miliardi di euro e la somma che… “se l’è data a gambe levate” senza fare più ritorno, pari a 121 miliardi di euro.
Questi dati non sono scaturiti a casaccio al pub, tra avventori che hanno alzato un po’ il gomito, ma dal Centro Studi e Ricerche di UNIMPRESA, una confederazione generale delle imprese, riconosciuta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il Centro Studi è composto da rappresentanti del mondo universitario, culturale ed economico e promuove iniziative editoriali, ricerche su temi socio-economici. Il rapporto rappresenta la fotografia della situazione bancaria nel nostro Paese. La prima causa potrebbe essere l’inflazione, che, indubbiamente, sta erodendo i salari e gli stipendi degli italiani e di conseguenza i risparmi depositati in banca. La spesa al supermercato è in continua crescita, così come il carburante. D’altronde basta farsi un giro per rendersene conto.
Per queste due “uscite” dalle tasche dei consumatori, nel primo caso si potrebbe tentare di risparmiare scegliendo prodotti e supermercati meno costosi. Nel secondo, scegliere metodi di trasporto alternativi all’auto, utilizzando maggiormente i mezzi pubblici. Ipotesi che restano tali. Perché nei fatti è complicatissimo attuare quella che è una vera e propria… ardua impresa. Ad esempio, per l’aumento delle rate del mutuo a tasso variabile, non ci sono ipotesi che tengano, anzi rappresenta una grave criticità per molti italiani Per questi motivi, soprattutto le famiglie con reddito medio-basso sono state costrette a utilizzare i propri risparmi in banca, considerati alla stregua di un sistema di protezione. In questo modo vengono compromesse le prospettive future, sacrificandole per far fronte alle emergenze quotidiane che incombono sulle loro teste con artigli acuminati.
Le famiglie con reddito medio-alto, al contrario stanno subendo, soprattutto, l’aumento dei tassi con scontati effetti sui rendimenti dei titoli di stato e bond. Quindi molti depositi bancari sono stati riversati su strumenti finanziari come i titoli di stato che hanno un rendimento superiore rispetto alle banche. Alla fine della storia il copione è sempre lo stesso, da anni, decenni, secoli: a pagare sono sempre i poveri cristi!