Con un ministro che evita il confronto e rifugge da qualsiasi trattativa o progettazione, la scuola è destinata al caos. In assenza di programmi seri i docenti fanno ciò che possono ma per i miracoli, a settembre, dovranno attrezzarsi.
“Di precariato si muore”. Così recitava la maglietta di un giovane manifestante pochi giorni fa a Milano.
Non è facile trovare dei risvolti positivi nella fase attuale: tra l’emergenza sanitaria e quella sociale, il prossimo futuro appare tutto fuorché roseo. Se però, si volesse scovare una nota positiva in questo frangente, sarebbe senza dubbio il fatto che il Coronavirus ha spogliato il mondo sviluppato di tutte le sue certezze, e ha messo al centro le vecchie e le nuove problematiche dei nostri tempi. Prima tra tutte, la questione della fragilità occupazionale.
Le numerose manifestazioni, i presidi e gli appelli scoccati alla fine del lockdown, sembrano essere la dimostrazione di un malessere sociale generale che lentamente cerca di venir fuori. In particolar modo, nelle ultime settimane a tener banco è stata la questione legata alla scuola e al precariato. Dal Miur più volte sono arrivati messaggi confusi che non hanno fatto altro che aumentare il malcontento di docenti e discenti. Uno dei principali elementi della discussione è stato quello legato al concorso pubblico rivolto ai precari, che risulterebbe inadeguato alla situazione attuale:
“…Si può dire – Raffaele Arcone , membro del Coordinamento Precari della Scuola Autoconvocati – che siamo nati proprio per la necessità di contrastare questo concorso, ormai passato al secolo come “concorso salva-precari”, nonché l’accordo che i sindacati confederali hanno siglato con il Ministero. Sebbene ancora nessuno sappia la data esatta in cui si svolgerà il test, ne sono invece estremamente chiare le debolezze. Questo concorso straordinario infatti non riuscirà ad arginare la bolla del precariato, ma anzi, se possibile, ingrandirà ulteriormente la problematica. I dati possono darci una stima più accurata della situazione. I posti messi a bando quest’anno sono stati circa 32mila, mentre le cattedre precarie tra le 120 e le 130mila. Insomma, tutt’altro che “salva-precari”. Anzi, probabilmente non è errato dire che è un concorso che mette gli uni conto gli altri…”
L’incertezza occupazionale non sarebbe destinata ad esaurirsi entro l’anno. Secondo le recenti proiezioni offerte dai maggiori sindacati, l’anno prossimo il problema potrebbe infatti aumentare. Tra pensionamenti e quota 100, non è escluso che le cattedre scoperte arrivino a toccare le 200mila unità. Se consideriamo che i docenti attivi nel Bel Paese sono circa 1 milione, comprendiamo che il contenzioso interesserà circa il 20% degli insegnanti italiani. E non sono bruscolini:
“…A fronte di questa soluzione – aggiunge un insegnante – la strategia che noi proponiamo è la creazione di un concorso che si basi su titoli e servizi, che si articoli su una graduatoria provinciale e prenda in considerazione chi ha almeno 36 mesi d’attività. Questo, inoltre, dovrebbe garantire l’assunzione a tempo indeterminato. Al momento sembra essere l’unica opzione per arginare realmente il dilagare del precariato. Non contestiamo il fatto che la Costituzione preveda l’entrata nella Pubblica Amministrazione solamente tramite concorso, ma il fatto che non si faccia menzione ad un concorso selettivo. Del resto il concorso per titoli e servizi è pur sempre un concorso. Ed è proprio l’art. 97 della Costituzione che sancisce il fatto che i concorsi debbano garantire “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione…”.
Oltre alle problematiche scaturite dalle mancate assunzioni, ad accrescere le difficoltà dei docenti è stata anche la questione legata alla Didattica a distanza
“…La didattica a distanza ha riscontrato degli evidenti malfunzionamenti – evidenzia il docente –Aggravati ancor di più dalla poca chiarezza ministeriale sulla possibilità o meno di bocciare gli alunni. È evidente che a seconda delle indicazioni del Miur le motivazioni e la tenacia degli studenti mutava. La Dad non può che essere considerata unicamente come “didattica d’emergenza”. Credo che ogni docente in cuor suo voglia tornare il prima possibile in classe, soprattutto perché l’insegnamento in primo luogo è interazione e contatto con gli studenti. Inoltre, è stato uno strumento che ha amplificato le diseguaglianze sociali. Abbiamo riscontrato che almeno il 10-15% degli alunni aveva delle serie problematiche con questo tipo d’insegnamento: dalla mancanza di adeguate tecnologie alla difficoltà di connessione. Dall’altra parte, il ritorno a scuola a settembre deve essere accompagnato da alcune garanzie. In particolar modo andrebbe risolta la questione delle cosiddette “classi pollaio”. Già in tempi non sospetti una delle maggiori preoccupazioni dei docenti concerneva l’incolumità degli alunni. Pensiamo ora con le strutture per il distanziamento e il plexiglas. Le probabilità di incidenti in classe si moltiplicherebbero. In realtà, il vero problema è che formare aule da 30 alunni è dannoso sia per la didattica che per la salute. Logicamente per diminuire gli alunni a classe dovrebbero essere convocati nuovi concorsi straordinari per le assunzioni. Ed è probabilmente questo il vero problema: manca la volontà di farlo…”.
Negli ultimi anni le battaglie degli insegnanti sono cresciute in maniera esponenziale e non si sono limitate al solo diametro scolastico. Le sfide lanciate dalla trasversalità delle gravi problematiche hanno avvicinato molti settori apparentemente distanti sotto un’unica sola grande battaglia: quella al precariato.
“… Noi come CSPA – conclude il professore – crediamo che il cambiamento non possa passare per battaglie corporative. Solo l’unione della lotta tra precari può portare a un reale miglioramento della condizione di tutti i lavoratori …”. Mala tempora currunt.