Una morte assurda e inaccettabile quella della giovane pakistana, strangolata quasi un anno fa nelle campagne di Novellara dai suoi parenti. Il processo prosegue con i genitori principali imputati, la madre ancora latitante e l’estradizione per il padre che ha già subito notevoli ritardi e che forse non ci sarà.
Novellara – Il 10 febbraio scorso si è svolta la prima udienza del processo a carico della madre, del padre, dello zio e dei due cugini di Saman Abbas, la diciottenne sparita da casa la notte del primo maggio del 2021 e ritrovata cadavere il 18 novembre dell’anno scorso. Il processo, in Corte d’Assise a Reggio Emilia, vede alla sbarra Nazia Shaheen, 47 anni, madre della vittima e tuttora latitante in Pakistan e Shabbar Abbas, 46 anni, padre della ragazza uccisa e al momento detenuto in Pakistan in attesa di un’improbabile estradizione ma che potrebbe essere sentito tramite telecollegamento già per il 17 febbraio prossimo.
A seguire Danish Hasnain, 34 anni, zio di Saman, considerato l’esecutore materiale del delitto ed i due cugini Ikram Ijaz, 28 anni, e Nomanulhaq Nomanulhaq, 35 anni, coobbligati in solido con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Dalla ricostruzione degli inquirenti la sorte di Saman era stata decisa da tempo ovvero da quando la ragazza si era ribellata alle imposizioni familiari dettate da una stretta osservanza della religione musulmana.
La sera del 30 aprile 2021 Saman avrebbe seguito i genitori in mezzo alla campagna con la scusa di una passeggiata chiarificatrice. Una volta fuori dalla portata delle telecamere dell’azienda agricola e di quelle stradali, sarebbero saltati fuori Hasnain ed i due cugini, Ijaz e Nomanhulaq, che l’avrebbero tenuta ferma bloccandole mani e piedi così da permettere allo zio di strangolarla con una corda. Questa versione dei fatti sarebbe stata confermata dallo stesso Ijaz ad un compagno di cella a cui avrebbe raccontato tutti i macabri particolari dell’omicidio in data 29 ottobre 2021.
A questo punto si sarebbe aggiunto un altro uomo, la cui identità è rimasta ignota perché, come spiegava Ijaz al compagno di detenzione, aveva il volto coperto con un passamontagna. Questa sesta persona avrebbe dato il colpo di grazia alla poveretta il cui cadavere sarebbe stato chiuso in un sacco. L’involucro di plastica sarebbe stato caricato su una bici e trasportato sulle rive del Po’ dal complice “incappucciato” che l’avrebbe fatto a pezzi per poi gettarlo nel fiume.
Assieme a lui ci sarebbero stati Danish e Nomanhulaq che si dividevano e sparivano nelle campagne per poi ricongiungersi in prossimità dell’azienda agricola dove convergevano anche Shabbar e Ijaz. Dunque a organizzare l’omicidio sarebbe stato il padre della vittima ormai stanco di non avere più la situazione della figlia sotto controllo. La madre della diciottenne, poco prima dell’omicidio, avrebbe avuto un crollo emotivo e sarebbe fuggita in lacrime dalla scena del crimine.
La versione dei fatti raccontata da Ijaz faceva acqua da tutte le parti, per lo meno per quanto riguarda la fine del cadavere, poi ritrovato intatto in un buca accanto ad un casolare abbandonato ad un tiro di schioppo da casa. Dunque perché raccontare una menzogna quando poi lo stesso zio Hasnain indicava agli inquirenti il luogo esatto dov’era stata seppellita Saman?:
”Non voglio pagare per un delitto che non ho commesso – avrebbe detto in sua discolpa lo zio della vittima – a fare tutto è stato Shabbar Abbas…”.
Tramite il legale di fiducia, l’avvocato Liborio Cataliotti, Hasnain avrebbe anche riferito che il cadavere di Saman sarebbe stato sepolto laddove è stato ritrovato subito dopo l’omicidio compiuto per mano del padre della ragazzina che si augura possa arrivare presto in Italia per sostenere il processo. Intanto il Comune di Novellara si è presentato alla prima udienza e sarà presente a quelle successive sino a sentenza:
”Potenzieremo le politiche di prevenzione e contrasto alla violenza maschile sulle donne soprattutto in chiave educativa e culturale – ha detto il sindaco Elena Carletti – e a rafforzare le politiche interculturali rivolte alle scuole, ai giovani e alle comunità di stranieri al fine di aiutare i cittadini di seconda generazione e le loro famiglie a misurarsi in modo costruttivo con le differenze e a riconoscere il valore inalienabile dei diritti universali”.
L’ex fidanzato della vittima, Saqib Ayub, tramite il suo avvocato Claudio Falleti, si costituirà parte civile e darà vita alla fondazione Saman in difesa delle ragazze musulmane libere.