Il voto di scambio e la corruzione elettorale politico-mafiosa dilagano su tutto il territorio nazionale. E' ormai una pericolosa consuetudine che deve essere contrastata severamente e con pene certe e sostanziose. Ancora arresti e deunuce.
Roma – Esistono fenomeni profondamente radicati nel tessuto sociale. Uno di questi è il cosiddetto voto di scambio tra associazioni criminali e rappresentanti politici, che l’ordinamento giuridico italiano definisce come reato di scambio elettorale politico-mafioso.
Se ne trovano tracce già nel diritto romano, dove il reato di ambitus, codificato da una lex Baebia e poi confermato da una Lex Tullia proposta da Cicerone, colpiva comportamenti simili a quelli attuali. In realtà, possiamo però affermare che la pratica illegale in questione nasce in tempi più o meno recenti che corrispondono al momento in cui l’associazione mafiosa, da organizzazione criminale prevalentemente rurale, in concomitanza con l’industrializzazione dei territori del Meridione, inizierà a mimetizzarsi nel mercato legale e a infiltrarsi nell’ambiente politico per esercitarne il potere. E quale metodo migliore se non quello in cui un candidato, in cambio del voto di un elettore, promette a quest’ultimo un tornaconto personale?
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E’ di questi giorni la notizia che i militari del Nucleo Operativo della Compagnia di Castello di Cisterna hanno eseguito il provvedimento emesso dal gip del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, che ha portato all’arresto di Antonio Carpino, avvocato penalista e sindaco di Marigliano, in provincia di Napoli, accusato di voto di scambio con la camorra insieme a Luigi Esposito, detenuto in regime di 41 bis. Entrambi sono ritenuti gravemente indiziati, in concorso tra loro e con i collaboratori di giustizia Cristiano Piezzo, Massimo Pelliccia e Tommaso Schisa, anche per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso. I fatti sarebbero stati compiuti nel comune campano nel periodo compreso tra ottobre 2014 e giugno 2015. In una nota, il Pd di Napoli, si dichiara duramente colpito dalla notizia ma, allo stesso tempo, fiducioso nella magistratura che svolgerà rapidamente il suo lavoro di approfondimento delle accuse. Auspica anche che il sindaco Carpino fornirà una ricostruzione dei fatti.
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Ma il fattaccio di Marigliano è solo uno dei tanti che si vanno ad aggiungere ad una lista interminabile. Contestualmente ci imbattiamo in quello di Cassino, dove spunta il voto di scambio sulle amministrative 2019, a seguito delle dichiarazioni offerte nella trasmissione web ”Tanfuk” da una donna ”sedotta e abbandonata” dalle promesse elettorali. A suo dire, in cambio di un portafoglio di voti, le era stato promesso un lavoro, da lei tanto agognato per far fronte alle spese mediche della figlioletta malata. Se andiamo a ritroso nel tempo, ad esempio, ricordiamo il caso di Apricena, nel foggiano dove, a gennaio, dalle indagini delle fiamme gialle era emerso che diversi cittadini avrebbero offerto il proprio voto e quello dei loro familiari in cambio di denaro (tra i 20 e i 50 euro a testa), in occasione delle elezioni comunali del maggio 2019. Inoltre, sono state compiute diverse infrazioni nei seggi elettorali.
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Come non citare l’ex assessore della Regione Piemonte, Riccardo Rosso, accusato di voto di scambio politico- mafioso: secondo gli inquirenti avrebbe versato 7.900 euro agli intermediari di Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, due presunti pezzi da novanta della ndrangheta, in cambio di cospicui voti alle ultime elezioni regionali. E a Bari gli uomini affiliati al clan Di Cosola che hanno tentato di condizionare l’esito delle elezioni regionali in Puglia nel maggio 2015, procurando voti a Natale Mariella candidato con la lista”Popolari” a sostegno di Michele Emiliano? E, ovviamente, l’elenco non si fermerebbe qui. L’esigenza di punire tale illecito comportamento ha trovato realizzazione all’articolo 416 ter del Codice Penale, che è stato recentemente interessato dalla riforma di cui alla legge n. 43/2019 in vigore dall’11 giugno 2019. La legge, promossa dal Movimento Cinque Stelle, ha puntato a rafforzare la norma e ad estendere la punibilità del reato: si è passati dai sei/dodici anni di reclusione ai dieci/quindici, a cui consegue la pena accessoria dell’interdizione completa dai pubblici uffici. Un vero abbraccio mortale per la democrazia quello tra l’apparato istituzionale e quello criminale che, da sempre, si cerca di scindere.
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