Per il Lazio aumentare il numero di test eseguiti rispetto al totale dei positivi riscontrati ha permesso di abbassare il tasso di positività, concorrendo a difendere l'invidiato status di regione gialla.
Roma – Il presunto caso dei tamponi della Regione Lazio fa venire in mente un po’ il gioco delle tre carte. Il trucco c’è (forse) ma non si vede. A quanto pare i dati utilizzati dal Governo per delimitare le fasce regionali di restrizione (gialla, arancione ,rossa) non sono omogenei.
Come ammesso implicitamente dal ministero della Salute, che solo nei giorni scorsi ha chiesto alle Regioni di contabilizzare i test molecolari insieme a quelli antigenici mentre per quelli molecolari si ricerca il materiale genetico del virus, gli antigenici ricercano la presenza di proteine virali in grado di legarsi ad anticorpi. Il primo è più affidabile ma costoso, con tempi di risposta medio-lunghi, e necessita di operatori sanitari che si espongono al contagio.
Nel secondo si preleva un campione di saliva, con un risultato pressoché immediato senza l’ausilio di personale o strumenti di laboratorio. Piuttosto economico il test potrebbe essere utilizzato in situazioni – come le scuole o gli aeroporti – dove è necessario testare con rapidità molti soggetti, il limite è rappresentato dall’affidabilità.
Solo che Regione Lazio e Piemonte attuavano questo conteggio misto precedentemente alla decisione del ministero, come detto già in fase di decisione, sui “colori” delle fasce regionali che regolamentano le restrizioni. Per il Lazio aumentare il numero di test eseguiti rispetto al totale dei positivi riscontrati ha permesso di abbassare il tasso di positività, concorrendo a difendere l’invidiato status di regione gialla.
Una prassi confermata da numerosi laboratori: i risultati dei test antigenici vengono raccolti insieme ai molecolari e condivisi nel dato complessivo che finisce all’interno del database dell’Iss. Stiamo parlando di circa il 40% del totale. Poiché non si tratta di una metodologia utilizzata da tutti è evidente che la Regione Lazio abbia operato una sorta di concorrenza sleale nei riguardi delle altre Regioni.
I dati epidemiologici del Lazio hanno spesso dato l’idea di un modello sanitario virtuoso che, recentemente, è andato a sbattere contro le immagini delle lunghe code ai drive-in o degli accessi ospedalieri sovraffollati. Le zone d’ombra sul conteggio dei tamponi – agevolato da normative inesistenti – possono essere la risposta tra realtà virtuale e reale.
In soccorso del governatore Nicola Zingaretti arriva l‘istituto Spallanzani: “…La notizia sui dati ‘truccati’ nel Lazio è una fake news destituita di ogni fondamento e di assoluta gravità per la rappresentazione che viene data. I dati nella Regione Lazio vengono raccolti e gestiti dallo Spallanzani. Nei 21 indicatori del monitoraggio settimanale dell’Iss per la valutazione del rischio, il calcolo del tasso di positività viene effettuato solo su tamponi molecolari…”.
Insomma questi test sono stati conteggiati tutti insieme, come affermano i sanitari dei centri di analisi o esattamente il contrario? L’istituto Spallanzani ha emanato da diverso tempo una nota tecnica a cura del Laboratorio di Virologia, condivisa con Iss e ministero della Salute, in cui si precisa che i casi con valore di cut-off (limite adottato da tutti i laboratori di analisi, sotto il quale l’esito dell’esame risulta negativo) uguale o superiore a 10 non necessitano di conferma molecolare, poiché il valore predittivo positivo è estremamente elevato.
Se è vero che questo dato tecnicamente è valido – come ci hanno confermato alcuni laboratori di analisi – rimane il fatto che la Regione Lazio ha utilizzato una metodologia differente, alterando le regole per l’assegnazione delle fasce regionali. Rimane sempre il dubbio sui motivi che abbiano spinto il ministero della Salute a non omogeneizzare questo sistema per tutte le Regioni. Per lo meno fino ad ora.
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