Le mafie sono ancora molto potenti e lo Stato, di contro, non è ancora bene attrezzato per sconfiggere il fenomeno deviante per tutta una serie di fattori che lo mettono sotto scacco.
Roma – E’ già in libreria “L’oro delle mafie” di Franco La Torre, Domenico Morace e Elio Veltri, edito da PaperFirst. Tre autori che conoscono bene le mafie. Franco La Torre, oltre 30 anni di esperienza nel campo della lotta contro le organizzazioni criminali, è figlio del compianto Pio La Torre, dirigente del Partito Comunista Italiano e unico parlamentare ucciso dalla mafia. Morace, avvocato del foro di Bologna, ha seguito diverse inchieste giudiziarie, tra le ultime quella sul “People mover” nel capoluogo felsineo, è impegnato con le Agende Rosse di Salvatore Borsellino.
Infine Veltri, medico, politico, giornalista e autore di diversi libri. Quello che colpisce, in questa pubblicazione, sono un nome e una cifra: il clan ”Spada” e 19 milioni. Nello specifico gli autori si riferiscono famiglia numerosa degli Spada, di origine Sinti, arrivata a Roma dall’Abruzzo negli anni Cinquanta e ai 19 milioni di euro che sono stati confiscati all’omonimo clan nell’ottobre 2018. Secondo i magistrati che negli anni hanno indagato su di loro, i capi della famiglia sono anche i leader di un’organizzazione criminale dedita al pizzo e alle estorsioni prevalentemente in danno delle locali attività commerciali.
Gli Spada, intimidendo i gruppi criminali locali, gestirebbero l’assegnazione di frodo delle case popolari nella zona “Nuova Ostia”: aree disagiate dove grandi palazzine di edilizia popolare si alternano a strutture fatiscenti e piazze di spaccio. E proprio qui è avvenuto un episodio dall’effetto mediatico portentoso, tanto da accelerare l’inchiesta giudiziaria e la sottrazione di uno stracolmo ”portafoglio” agli Spada. Stiamo parlando dell’aggressione, avvenuta il 7 novembre 2017, al giornalista Davide Piervicenzi del programma Nemo di Rai 2 e dell’operatore Edoardo Anselmi da parte di Roberto Spada, fratello di “Romoletto”, ovvero il boss dei boss Carmine Spada.
Durante un’intervista sui rapporti tra membri del clan e Casa Pound, Roberto rifilava al giornalista una sonora testata. Aggressione per la quale il 18 giugno 2018, oltre a Roberto Spada, venivano condannati in primo grado a sei anni di reclusione per violenza privata e lesioni aggravate, con il riconoscimento dell’aggravante mafios,a anche Giovanni Musarò e Ruben Nelson Del Puerto.
Nonostante altri avvenimenti di notevole caratura criminale quali l’omicidio dei ”rivali” Giovanni Galleoni “Baficchio” e Francesco Antonini “Sorcanera” freddati – secondo i magistrati – da Carmine e Roberto Spada in un agguato il 22 settembre 2011 e la sparatoria tra il 16 e il 17 luglio 2013 tra gli Spada e il clan rivale ostiense dei Triassi, di cui fu testimone oculare la giornalista Federica Angeli, nessuno ha avuto il potere di scoperchiare il vaso di Pandora come quello della famosa ”testata”.
Forse nemmeno il maxi processo per mafia contro il clan Sinti, iniziato dopo il blitz del 25 gennaio del 2019, con l’operazione ”Eclissi”, che aveva portato in carcere 24 affiliati al cosiddetto ”gruppo di Ostia”. Men che meno l’altro accadimento giudiziario, il 24 settembre dello stesso anno, che vedeva la condanna all’ergastolo per Carmine, Ottavio detto” Romolo” e Roberto Spada, oltre alla richiesta di 224 anni di carcere per gli altri imputati, di cui 17 condannati e 7 assolti. E per la prima volta, in quell’occasione, all’organizzazione criminale veniva contestato l’articolo 416 bis del codice penale.
Insomma sembra che la mafia venga presa in considerazione soltanto quando crea ”allarme sociale” altrimenti, se resta buona e confinata, non ci si pensa nemmeno, al limite si sopporta. Eppure, lo Stato tanto efficiente con i suoi reparti di eccellenza come Sco-Polizia, Gico-Finanza e Ros-Carabinieri, che scovano milioni e milioni di euro di tesori illegali di proprietà della mala, non è in grado di gestire poi l’ingente patrimonio confiscato che, di contro e in tempi di magra come questi, potrebbe tornare estremamente utile alla collettività.
Non esiste nemmeno una banca dati in grado di quantizzare esattamente l’entità dei beni sottratti alle mafie e, per questo motivo, gli autori parlano di un’Italia bizzarra che si lascia sfuggire tali ricchezze faraoniche” abbandonate” nei meandri di un’impossibile burocrazia. Per non parlare dell’ “Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati”, bene istituita ma che non ha mai funzionato come avrebbe dovuto. A tutto questo si aggiungono le solite lentezze di certi uffici pubblici, le parcelle dorate ai consulenti, i parenti che si sono arricchiti in nome delle associazioni antimafia e il disinteresse totale da parte della classe politica.
Rispetto a 20 o 30 anni fa le mafie oggi sono molto più ricche e i confini tra economia legale e illegale sono diventati estremamente labili e, non di rado, ci si trova di fronte ad organizzazioni devianti che pur non avendo il bollo ufficiale del 416 bis, di fatto sono vere e proprie associazioni di stampo mafioso. Fiumi di denaro, proprietà, terreni, obbligazioni, cripto valute, oro, pietre preziose, investimenti miliardari nei paradisi fiscali, rimangono incagliati in una rete che lo Stato non riesce a districare e che, invece di risanare i conti del Paese, poco dopo ritornano nelle mani della criminalità organizzata. Un cerchio che non si chiuderà mai.
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