ROMA – LE AZIENDE DELOCALIZZATE POTREBBERO AZZERARE IL DEBITO PUBBLICO SE TORNASSERO IN ITALIA.

Invece anche importanti partecipate hanno scelto di pagare meno tasse nei paradisi fiscali dove hanno eletto residenza. Cosi facendo il nostro futuro economico arrancherà sempre di più sino alla deflazione. E' questo il Mes che vogliono Zingaretti e Berlusconi?

Roma – Mentre il dibattito politico italiano sembra essere incentrato sul Mes, con continui dietrofront da parte di tutti gli schieramenti, la crisi nel Bel Paese si fa sempre più accentuata e grave. E qualora la Cassa integrazione e i blocchi ai licenziamenti dovessero essere prorogati ulteriormente, si tratterebbe comunque di misure palliative, temporanee, prive di una reale logica di programmazione dunque pressoché inutili. Inoltre non bisogna trascurare che anche il più benevolo dei Mes non è esente da condizioni, le quali sul lungo periodo potrebbero pesare sul bilancio italiano più della crisi sanitaria stessa. Insomma una scelta non semplice e che a seconda della decisione peserà in maniera determinante sul futuro prossimo degli italiani.

Nel frattempo, però, c’è qualcuno che cerca di trovare una via alternativa, una strada che possa quantomeno tutelare la produzione nostrana. Tra questi spicca il nome di Paolo Maddalena, vicepresidente Emerito della Corte Costituzionale e presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”.

Il professor Paolo Maddalena

Secondo Maddalena, infatti, molte delle problematiche economiche italiane hanno una radice comune: la possibilità delle aziende di delocalizzare la sede fiscale all’estero. Ciò comporterebbe un enorme impatto negativo per i mercati nazionali ed enormi vantaggi per alcuni Paesi esteri, come ad esempio quelli che li ospitano:

“…La causa fondamentale del nostro disastro economico – dice Maddalena –  è da ricercare nell’esistenza  di paradisi fiscali all’interno dell’Unione e che sono l’Olanda, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Cipro e Belgio. In violazione totale dei trattati europei che pongono come fine la stabilità economica e la coesione economica e sociale. Molte imprese italiane hanno la sede fiscale in uno di questi Paesi. Si tratta di grossi nomi come Mediaset, Fiat, Caltagirone, Fca, Campari, Luxottica, Exor, Ferrero, Ferrari, Perfetti van Mele, Tenaris, STMicroelectronics e molte altre ancora, nonché un gran numero di partecipate statali, indebitamente trasformate da Enti pubblici in S.p.a, fra le quali Enel e Eni. L’ammontare complessivo del danno subito dal nostro fisco è di circa 6,5 miliardi di euro all’anno, pari al 10% del debito pubblico nonostante il calcolo sia approssimativo per difetto. Se questi importi venissero versati al fisco italiano saremmo in grado di diminuire fino alla sua totale estinzione il nostro debito pubblico. In questo quadro l’Unione europea appare un’organizzazione sovranazionale assolutamente inidonea a perseguire l’utilità dei suoi Paesi membri…”.

Secondo Maddalena l’Unione Europea non riuscirebbe a garantire quell’imparzialità fiscale che dovrebbe essere parte integrante dei trattati fondativi stessi. Inoltre il Bel Paese rischierebbe di andare incontro a una crisi ancor più grave se la tendenza ad abbandonare fiscalmente il Paese non cesserà. E allora le strade che si aprono sono principalmente due: diminuire gli oneri alle grandi multinazionali, implicando però un dumping sociale dalle prospettive incerte e pericolose, considerando che il welfare italiano è composto da una rete di tutele nettamente maggiore rispetto a taluni paradisi fiscali o impedire che queste selvagge delocalizzazioni possano avvenire senza intercorrere in nessun ostacolo statale.

Anche la Ferrari, orgoglio di casa nostra, ha la sede legale all’estero…

“…In questa situazione – conclude Maddalenanella quale l’Italia finirà ineluttabilmente per perdere l’intero suo territorio e tutte le fonti di produzione di ricchezza che esso contiene, i nostri politici hanno il dovere costituzionale, sancito in particolare dagli articoli 52 e 54 della Costituzione, di difenderci da questa insostenibile situazione economica, badando in primo luogo a ricostituire il nostro mercato interno, investendo il più possibile in attività che producano beni di prima necessità, nonché in industrie strategiche, in imprese che gestiscono fonti di energia, servizi pubblici essenziali o situazioni di monopolio (art. 43) e affidando la loro gestione a Enti pubblici (non aggredibili dal mercato generale, perché gestori di beni appartenenti al Popolo, da ritenere quindi inalienabili, inusucapibili e inespropriabili). Occorrerebbe inoltre che divenisse abituale l’esercizio del golden power da parte del governo e vietare con norme, fortemente sanzionate, il trasferimento della sede fiscale delle imprese all’estero…In attesa di tutto questo, abbiamo il dovere urgentissimo, come stiamo ripetendo da tempo, di immettere liquidità nel nostro sistema economico, senza aver timore di divieti europei che, nel quadro descritto, non possono più avere alcun valore cogente. Crea molti sospetti, infine, l’insistenza europea e dei tradizionali partiti del Pd e di Forza Italia (che negli ultimi decenni hanno portato alla rovina economica il nostro Paese) di accettare i prestiti del Mes. Per quanto ci risulta il Mes è uno strumento per conservare l’attuale organizzazione disastrosa dell’Unione europea che premia i paradisi fiscali e i Paesi che violano le norme dei trattati sulla stabilità economica e sulla coesione economica e sociale dei Paesi membri…”.

Proteste contro le delocalizzazioni temerarie.

Se alle delocalizzazioni fiscali, inoltre, aggiungiamo anche quelle produttive, il risultato che andremo a scoprire sarà quello di una struttura economica nazionale che paga i tributi all’estero perché più bassi e che sceglie la propria forza lavoro solo in base al bilancio e non alla qualità. In tale maniera la deflazione a cui andremo incontro sarà senza precedenti e dell’Italia che conosciamo rimarrà ben poco. Molto poco. E’ questo che intendevano dal Parlamento quando gridavano “andrà tutto bene?”. 

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