Un’alleanza nata quasi per caso ha creato un colpo di scena nella politica italiana: la prospettiva di una forza slegata dalla vecchia dicotomia destra/sinistra e potenzialmente in grado di insidiarne le calcagna. Ma riuscirà ad emergere come forza di maggioranza o sparirà come tutti i partitini liberali?
Roma -Il 7,7% non é un brutto risultato per una forza politica nata a poco più di un mese dalle elezioni nazionali, quasi per caso. E dopo che Carlo Calenda ha fatto carta straccia del celebre patto con il PD, ricevendo l’inaspettato assist di Italia Viva di Matteo Renzi. Quello che alcuni avevano letto come il suicidio di Azione è diventata, forse, la rinascita dell’antico sogno di un partito liberale in Italia. I risultati ci sono, ma quello che si chiedono tutti è: il Terzo Polo è destinato a durare? E che possibilità ha di diventare partito di maggioranza? L’orologio ticchetta: le Europee del 2024 saranno il prossimo campo di battaglia per la neonata fazione politica.
Negli scorsi approfondimenti abbiamo parlato del centrodestra contemporaneo, trionfante, ma un po’ stantio e istituzionalizzato, e del disastro del centrosinistra, sempre più dilaniato da istanze inconciliabili che il PD prova maldestramente a tenere assieme. Resta dunque da inquadrare il fenomeno “eversivo”: la forza che già dal nome, aspira a rompere la diade del “bipopulismo” di destra e di sinistra e provare a creare qualcosa di nuovo.
Il nuovo astro liberale?
Nuovo, ovviamente, fino a un certo punto. Il Terzo Polo si fa carico di un sogno antico: quello di un partito liberale italiano, progressista, europeista e atlantista, ma con un’agenda economica nettamente di destra, e di ispirazione liberista. Un’agenda che Calenda non ha neppure sentito il bisogno di scrivere da sé: è la famosa Agenda Draghi, che il beneamato ex presidente del consiglio ha già lasciato come modello imperituro ai successori. Un programma dunque forse un po’ derivativo, ma perlomeno con le idee chiare e un modello di riferimento concreto.
Come sappiamo, i precedenti tentativi di creare un’asse tra i liberali italiani sono falliti clamorosamente. Fare per Fermare il Declino è forse il precedente più illustre, sia per serietà del programma che per proiezioni di voto: ma il celebre “scandalo della laurea” che ha travolto l’illustre e ben vestito Oscar Giannino ha decretato la prematura sepoltura del progetto. Più Europa aveva tentato di porsi come successore, ma le figuracce della gestione Tabacci e l’eccessivo attaccamento alla mammella democratica hanno velocemente ridotto i consensi a numeri da prefisso.
Rispetto ai precedenti, il Terzo Polo ha registrato un indubbio successo: si è presentato alle elezioni schierato compatto in tempi rapidi, ottenendo un risultato non clamoroso (il trionfo sarebbe stato superare Forza Italia), ma certamente solido. Le opportunità ci sono: ci sono voti da saccheggiare dalla carcassa che è il partito di Berlusconi, ma anche parecchio da prendere nell’elettorato più “borghese” e centrista del PD, oltre alla prospettiva golosa di strappare Più Europa dalla ingombrante tutela piddina. Tutta quell’area elettorale, insomma, che era contenta del draghismo e ne vorrebbe una perpetuazione. Ma bisogna guardare al futuro: cosa deve fare l’asse Azione/Italia Viva per restare? Quali gli errori da evitare per evitare di finire nel buco nero in cui sono spariti tutti i partiti liberali degli ultimi decenni?
1. Evitare il bipartitismo
Quella tra le creature di Renzi e Calenda è stata una alleanza di comodo: per quanto sia stata implementata in tempi rapidi, il sentiero della fusione è ancora lontano. Italia Viva e Azione sono ancora due partiti diversi, con dirigenze autonome, strutture autonome e basi elettorali ancora differenti. Per ora, i due organismi collaborano bene, ma il rischio di frattura è dietro l’angolo. L’urgenza è quella di una maggiore disciplina: una fusione rapida che trasformi l’asse di convenienza in un partito unico.
Un problema che riguarda innanzitutto la dirigenza, ancora arroccata sul sistema bipartitico, oltre alla presenza di scontenti e fuoriusciti da altri partiti a cui manca, dunque, coesione e spirito di corpo. C’è bisogno di irreggimentazione. Matteo Renzi parla di fusione entro il 2024, ma c’è un altro discorso da fare: quello che riguarda la base elettorale, che potrebbe, come vedremo, essere meno amalgamata di quello che sembra.
2. Terzo per davvero. Evitare lo scivolamento a sinistra
L’intuizione più corretta di Calenda, nel corso di questa campagna elettorale, è stato comprendere che il suo partito avrebbe avuto più potenzialità correndo da solo piuttosto che con “l’accozzaglia” del centrosinistra. Da lì, l’inaudita scelta di stracciare un patto che gli riservava grossi vantaggi, a favore del salto nell’ignoto. Molti sentenziarono che questa scelta avrebbe condotto Azione alla rovina; una profezia probabilmente corretta, se non fosse stato per il jolly rappresentato dall’endorsement di Renzi. Dunque, un azzardo premiato dai risultati, benché il pesante prezzo da pagare sia stato quello di consegnare diversi municipi al Centrodestra.
Il punto qual è? Benché Italia Viva e Azione vengano entrambi dai pascoli del centrosinistra, il loro elettorato non è mancino, e la stesura del programma unito dovrà tenerne conto. Un interessantissimo sondaggio svolto da Analisi Politica per Libero mostra che, tra i terzopolisti, il 60% degli elettori di Italia Viva vorrebbe collaborare con il centrodestra (contro solo l’8% che vorrebbe tornare nell’ovile del PD), opinione condivisa dal 36% dei seguaci di Azione (comunque superiore al 33% favorevole all’asse con la sinistra).
Fino ad ora, i leader terzopolisti non si sono sbilanciati troppo, ma chiaramente la cosa giusta da fare in un’ottica di autonomia politica sarebbe troncare risolutamente i legami ideologici e politici con il centrosinistra. I valori pubblicizzati devono essere, evidentemente, l’europeismo e il libero mercato, non l’ecologia e lo Stato sociale. Il tutto supponendo che la base calendiana, evidentemente più esposta a scivolamenti rossi, resti fedele alla linea.
3. 2024: appuntamento con la storia. L’occasione delle europee
Parliamoci chiaro: il Governo Meloni sta già esaurendo la benzina. Tra il PNRR che procede a rilento e l’autogol clamoroso (forse inevitabile) delle accise (senz’altro il più grave episodio da Pinocchio della attuale premier) è chiaro che, anche se l’astuzia di Giorgia riuscisse a tenere unita la coalizione, difficilmente lo stesso varrà per i consensi. Ci sarà una inevitabile percentuale di delusi, e si potrebbe aggravare il declino di Forza Italia.
La prima occasione in cui l’opposizione potrà mostrare i muscoli sarà proprio durante le Europee del 2024. Un’opportunità per il PD, ma ovviamente ancora di più per il Terzo Polo, se riuscirà a rimanere coeso e presentarsi con un programma convincente. In due anni, il nuovo governo, anche immaginandolo stabile, avrà collezionato abbastanza ferite e sbandate da rendere possibili spiragli per altre formazioni.
18 mesi, dunque, è la finestra di tempo in cui il Terzo Polo può preparare un successo che consentirebbe alla formazione di trattare con chiunque – Governo o PD – in una posizione di forza.
4. La tentazione dell’area di Governo. Il Terzo Polo deve o non deve collaborare con Meloni?
La necessità di distanziarsi dalla sinistra è già stata, se non ideologicamente, almeno politicamente compresa dai vertici di Azione: Calenda ha affermato che rifiuterà di collaborare con il PD finché esso manterrà aperta una finestra di dialogo con l’M5S. L’altra opzione è ovvia: andare a bussare in area di Governo.
A dire il vero, qualche episodio di corteggiamento è già avvenuto. Colloqui consultivi, appelli velati alla distensione: se le cose si mettessero male, Giorgia Meloni potrebbe trarre qualche vantaggio dall’appoggio terzopolista. Ma lo stesso può dire Calenda?
Entrare nel Governo sarebbe indubbiamente un grande successo d’immagine per una formazione così giovane, ma la verità è che l’idra Azione/Italia Viva ha ben poco da guadagnare da una alleanza con il centrodestra. Innanzitutto, si esporrebbe a tutte le difficoltà dello schieramento che governa, in una fase in cui potrebbe più facilmente mietere consensi dalla comoda poltrona dell’opposizione.
In secondo luogo, abbiamo già stabilito che un naturale vettore di espansione elettorale per il Terzo Polo è quello di cannibalizzare l’elettorato di Forza Italia, imponendosi come partito di punta di un “Centrodestra non-sovranista”. Da ciò traiamo che al Terzo Polo, pur non rifiutando aprioristicamente di trattare con le destre, debba distanziarsene almeno finché non è in una sufficiente posizione di forza. L’attuale linea della cosiddetta “opposizione costruttiva” rimane quella più promettente.
5. Nuovo corso, facce nuove
Se, dunque, a livello di ragionamento, le premesse ci sono, e il Terzo Polo ha effettivamente una sua ragione di essere nello spazio bianco lasciato dalla crisi della sinistra e il sorgere dei sovranismi, la sua ascesa dovrà essere accompagnata da nuovi volti carismatici. Calenda ha funzionato come frontman, ma lui stesso riconosce i suoi limiti, e preannuncia il proprio ritiro dopo che sarà riuscito a portare il partito al 20%. Lo stesso dicasi di Renzi, che già in principio ha rinunciato alla leadership in quanto cosciente, forse, di essere uno dei politici più disprezzati del Paese.
Insomma, necessari volti più interessanti e freschi che possano dare nuova linfa al partito: magari scelti tra i giovani, tanto centrali nel programma terzopolista. Nei 4 anni che separano le elezioni, figure del genere possono emergere. Come è il lasso di tempo giusto in cui può imporsi una forza politica. Se sarà in grado di farlo, è ancora presto per dirlo. Solo la storia potrà giudicare l’impetuoso “tradimento” di Carlo Calenda.