Chiudere in maniera totale sarebbe l'unica soluzione per arginare il virus. Ma ciò significherebbe la distruzione dell'economia italiana già defedata da fiscalità eccessiva e burocrazia micidiale.
Roma – Confusione. No, non è il titolo della famosa canzone di Lucio Battisti del 1972, piuttosto il termine più appropriato con cui connotare il periodo che stiamo vivendo dalla fine di febbraio ad oggi. L’incertezza regna sovrana soprattutto quando si deve formulare una definizione esatta di quei lemmi che, purtroppo, ultimamente sono entrati di prepotenza nel nostro bagaglio linguistico: asintomatici, presintomatici e paucisintomatici.
E speriamo di non doverne aggiungere altri. Essere positivo asintomatico al nuovo Coronavirus significa, sostanzialmente, non manifestare i sintomi, benché il tampone risulti positivo. Ma siccome esiste un periodo di incubazione in cui il virus è già presente nell’organismo senza manifestarsi, si parla anche di presintomatici che sono potenzialmente contagiosi quanto gli asintomatici, in particolare nei primi due giorni di incubazione del virus.
Infine ci sono i paucisintomatici, ovverosia coloro i quali sviluppano solo sintomi di lieve entità della malattia. In quella che possiamo definire la seconda ondata di Covid-19, i sistemi sanitari regionali iniziano a traballare e a non essere più in grado di soddisfare tutte le richieste di tamponi, da quelli rapidi antigenici a quelli molecolari.
In molte zone il contact-tracing è andato in tilt perché i casi sono troppi, il personale sanitario non è stato rafforzato a tempo debito e risulta quasi impossibile rispettare l’iter delle indagini epidemiologiche per rintracciare i contatti a rischio dei positivi. E così i governatori hanno scritto al ministro della Salute, Roberto Speranza, per proporre di modificare le regole sui test: niente più tamponi agli asintomatici.
Il governatore dell’Emilia Romagna e presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, ha avanzato la propria proposta: ”…Laddove risulti impossibile il completo contact-tracing le Regioni potranno, attraverso i dipartimenti di sanità pubblica, riorganizzare le attività di tracciamento e screening individuando specifiche priorità di intervento tempestivo…”.
Nello specifico se i membri del nucleo familiare dovessero risultare e permanere asintomatici, il tampone rapido o molecolare verrà eseguito allo scadere del decimo giorno di isolamento. Se risulteranno negativi potranno uscire dalla quarantena. Mentre per i contatti stretti asintomatici, il tampone sarà effettuato solo in casi particolari valutati dai servizi di sanità pubblica.
Inoltre la sorveglianza attiva sarà garantita, per i soggetti più fragili, con la telefonata a casa e per gli altri tramite App. Nonostante tutto uno dei docenti di Fisica dell’università La Sapienza di Roma, Giorgio Parisi, non ha espresso parere positivo riguardo alla proposta di riorganizzazione del tracciamento: ”…Se non si tracciano gli asintomatici, questi possono essere una grossa fonte di contagio. Una possibile alternativa potrebbe essere quella dell’uso massiccio dei tamponi rapidi...”.
Della stessa opinione è anche il collega Enzo Marinari che considera la proposta una sorta di resa: ”…Temo che significhi arrendersi completamente e perdere il tracciamento in modo definitivo. Se non sappiamo più quanti siano gli asintomatici, questi potranno continuare ad infettare…”. Una linea di pensiero che Andrea Crisanti, noto infettivologo dell’università di Padova, condivide e ribadisce da tempo, avendola anche applicata con successo durante la prima ondata in Veneto.
Eppure, rimanendo sempre in ambito scientifico, c’è anche chi sostiene i presidenti delle Regioni, come l’epidemiologo Donato Greco, che reputa inutile fare in questo momento tamponi a tappeto immotivati e suggerisce di concentrarsi, piuttosto, sui sintomatici e potenziare solo in seguito il tracciamento: ”…Ormai nella famiglia dei virus respiratori c’è anche questo e continuerà ad esserci per i prossimi anni, aggiungendo il suo carico a quello degli altri agenti virali delle vie respiratorie che già conosciamo, come l’influenza. Il virus fa il suo corso, siamo nel picco epidemico, le misure possono ridurne l’intensità, ma non lo elimineranno...”.
E ha fatto sentire la sua voce anche Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Speranza, definendo un intervento ”di facciata” quello del governo e, pertanto, incapace di flettere le impennate delle due ultime settimane, tanto da invocare un vero e proprio lockdown per ”mitigare” la situazione sanitaria attuale.
E, a proposito degli asintomatici, Ricciardi ha rincarato la dose: ” …Sono molti gli asintomatici che hanno dimostrato di avere una carica virale altissima. Ecco perché dovrebbero essere sempre tracciati...”. Il vero problema alla base di tutto sembra essere l’eccesso di sovrapposizione tra Governo, Regioni e Comuni e se da un lato la richiesta dei governatori avrebbe come effetto immediato quello di alleggerire i laboratori, dall’altro non si potrebbero più mappare le catene dei contagi e arginare, di conseguenza, i vari focolai.
Facendo due conti sfuggirebbero ai controlli il 43,5% dei casi positivi. Una percentuale importante, riportata dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) nel monitoraggio più recente, compreso tra il 12 e il 18 ottobre. Riassumendo: una proposta non propriamente eccellente, dettata sia dalla presa di coscienza dei limiti del sistema di tracciamento e sia dalla volontà di scaricare sul governo l’innegabile risultato fallimentare.
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