Sono ancora troppi i comuni che non rispettano le regole e quelli che le rispettano in parte. La mancanza di depurazione provoca livelli di inquinamento insostenibili. Il report di Legambiente fotografa una situazione disastrosa mentre la politica rimane distante.
Roma – In 342 comuni, in cui risiedono circa 1,4 milioni di abitanti, è totalmente assente il servizio di depurazione delle acque reflue urbane. Non parliamo di comuni del terzo mondo, ma dell’Italia, l’ottava potenza mondiale per PIL. La depurazione delle acque reflue rappresenta una vera e propria spada di Damocle per il Bel Paese e ci costa milioni e milioni di euro per il mancato rispetto della normativa europea in materia di depurazione. Sono tante le procedure di infrazione ai danni dell’Italia, di recente la Corte UE ha condannato il nostro Paese al pagamento di una multa di 25 milioni, più 30 milioni per ogni semestre di ritardo nella messa a norma. L’accusa è di non aver fatto in modo che 109 centri abitati italiani fossero provvisti di reti fognarie per la raccolta delle acque reflue urbane o di sistemi di trattamento conformi alle prescrizioni della direttiva 91/271, che dava tempo fino al 2000 per mettersi in regola.
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I numeri li fornisce l’Istat e danno l’esatta cifra di un paese che non ha mai investito sul riammodernamento degli impianti nel nome di un contrasto all’inquinamento che non è mai stato veramente una priorità. Poco più del 44% dei comuni italiani è dotato di un impianto di depurazione adeguato agli stardard imposti dall’Unione europea, di questi, quasi il 47% dispone a malapena di vasche Imhoff, il 9% di impianti con trattamento primario e solo il 44,2% può contare su depuratori con un trattamento secondario o avanzato. Le situazioni di maggior criticità si registrano in Sicilia, dove i comuni senza depurazione sono 75 (12,9% della popolazione regionale), in Calabria con 57 comuni (7% della popolazione) e in Campania con 55 comuni (3,9% della popolazione).
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Tutto quello che non viene scaricato in maniera regolare va ad inquinare il mare che già non gode di ottima salute. È per questo che i dati sulla depurazione sono riportati nel dossier “Mare Monstrum” di Legambiente che, anche per il 2020, denuncia politiche inefficaci rispetto alla gestione delle acque reflue.
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“…Accanto all’insipienza delle amministrazioni pubbliche, in cronico e colpevole ritardo (spesso in assenza di autonome capacità di progettazione, realizzazione e persino gestione degli impianti necessari) – si legge nel dossier di Legambiente – si innestano le immancabili strategie criminali. Se l’impiantistica è in mano pubblica si assiste, di solito, alla giostra di corruzione, inefficienza e generica malagestione, se invece gli impianti sono in mano a privati la logica viene allargata la forbice tra costi e ricavi, spingendo quest’ultimi persino al di là della legge. Se depurare costa, gestori senza scrupoli decidono di barare e fare trattamenti parziali se non del tutto inesistenti, tanto le fatture le pagano comunque i comuni e tutto finisce presto in mare. Considerato che i controlli sono molto complessi e gravati dalla cosiddetta asimmetria informativa, tra chi gestisce e chi controlla, la tentazione di ricorrere alle vie illegale e fare del Testo unico sull’ambiente carta straccia è, purtroppo, alta. L’esperienza investigativa insegna che il ricorso a condotte bypass illegali, alternative a quelle ufficiali, utilizzate a briglia sciolta soprattutto nelle ore notturne, con l’aiuto delle tenebre, è il sistema largamente più impiegato. Il risultato è che i sequestri si moltiplicano in maniera proporzionale all’aumento dei controlli, anche grazie al nuovo delitto ambientale di “impedimento al controllo”, inserito dal 2015 nel nostro codice penale…”
LA BCE FINANZIA LE AZIENDE PIU’ VELENOSE. ALTRO CHE RIPARTENZA SOSTENIBILE.