I dati della commissione regionale Antimafia, presieduta da Claudio Fava, sono sconcertanti. L'intero comparto dei rifiuti è in mano alla mafia. Nulla di nuovo sotto il sole isolano dove una certa politica e la criminalità organizzata vanno a braccetto. Adesso però la situazione sembra sfuggita di mano.
Palermo – È innegabile che in Sicilia il business dei rifiuti è stato ed è nelle mani della mafia. La governance isolana ha subìto, almeno nel corso degli ultimi 20 anni, forti interferenze alle quali non ha saputo opporsi. Questo è ciò che emerge dal lunghissimo lavoro effettuato dalla commissione regionale Antimafia, presieduta da Claudio Fava, che ieri ha approvato all’unanimità la relazione finale sul ciclo dei rifiuti in Sicilia. Un lavoro che la commissione ha svolto dall’ottobre del 2019 al 26 febbraio 2020, con 31 sedute e 52 audizioni. Quello che emerge è un quadro inquietante, opaco e a tratti imbarazzante: l’accordo “a tavolino” delle consorterie aggiudicatarie della convenzione per la realizzazione dei termovalorizzatori voluti da Totò Cuffaro.
I punti più inquietanti, negli anni, sono stati la stagione delle generose autorizzazioni rilasciate in favore dell’impiantistica privata durante i governi successivi; le numerose anomalie che hanno caratterizzato i relativi iter autorizzativi; le interferenze pubbliche e private; la pervasività della criminalità organizzata; il ricorso consuetudinario agli affidamenti diretti negli enti locali e l’aumento significativo delle pratiche corruttive sanzionate dall’autorità giudiziaria (per ultima, la sentenza di condanna nei confronti di un funzionario regionale, l’architetto Gianfranco Cannova, e di alcuni imprenditori del settore, tra i quali l’ex patron dell’Oikos S.p.A., Domenico Proto). Tradotto in soldoni? Milioni e milioni di euro come se piovesse. E tutto questo in collegamento diretto con il “Sistema Montante” e con il cosiddetto “Partito delle discariche” che, secondo quando riportato dalla relazione, ha fatto pressioni per lo scioglimento di alcuni consigli comunali con l’intento di rimuovere – si legge nella relazione della Commissione Antimafia – assieme alle amministrazioni comunali, le posizioni contrarie che quelle amministrazioni avevano formalizzato sulla ventilata apertura o sull’ampliamento di piattaforme private per lo smaltimento dei rifiuti.
- Condanne a 9 anni a Gianfranco Cannova, in servizio all’assessorato regionale al Territorio e ambiente, 6 anni Domenico Proto, titolare della Oikos, 4 anni a Giuseppe Antonioli, amministratore delegato della discarica di Mazzarrà Sant’Andrea, 4 anni a Calogero e Nicolò Sodano, proprietari della Soambiente di Agrigento. Proto e Cannova dovranno risarcire con una provvisionale di centomila euro il comune di Motta San’Anastasia, unica parte civile del processo. Grande assente la Regione siciliana. L’Avvocatura dello Stato aveva motivato la scelta di non costituirsi parte civile sostenendo che la corruzione “non costituisce allarme sociale”.
Tra i casi citati dalla commissione quello di Scicli, o per meglio ricordare Vigata, la città di Montalbano in provincia di Ragusa, comune sciolto per mafia nel 2015. In giudizio, però, il sindaco veniva assolto con formula piena perché il fatto non sussiste (“…è inaudito – ha scritto il giudice nella sentenza – che l’accusa abbia superato il vaglio dell’udienza preliminare…”). Per tutti gli altri imputati, guarda caso, decadeva l’accusa di associazione mafiosa e quella per delinquere. La commissione regionale Antimafia, nel caso specifico, mette in relazione lo scioglimento con i no delle istituzioni alla realizzazione di un impianto per il trattamento di rifiuti pericolosi e non da 200 mila tonnellate che sarebbe dovuto sorgere a poco più di un chilometro da un centro storico inserito dall’Unesco nella lista dei beni patrimonio dell’umanità e che sarebbe servito al trattamento di prodotti provenienti dalle aziende petrolifere. Dopo anni di manifestazioni popolari, ricorsi, riscontri di anomalie negli iter burocratici e opere abusive, la Regione con a capo Musumeci, nel febbraio di quest’anno, ha revocato le autorizzazioni rilasciate nel 2016, con una tempistica straordinariamente rapida per il tipo di procedura in questione.
In buona sostanza funzionari diventati pedine nelle mani di chi per decenni ha mosso le fila del business dei rifiuti. Ieri come oggi. Emblematica, in questo senso, è la testimonianza dell’ex dirigente generale del Dipartimento Ambiente della Regione, Sergio Gelardi, che nel corso dell’audizione avrebbe candidamente ammesso: “…Non ero adeguato ed ero stato messo in quanto soggetto inadeguato…”. Come dire non sapevo fare nulla ma ero stato messo lì, in quell’ufficio, appunto perché non capivo nulla di quel lavoro.
A beneficio di qualcuno che quel lavoro lo conosce fin troppo bene e sa come trarne quattrini. Insomma nulla di nuovo: persone sbagliate nel posto sbagliato per conservare la centralità del conferimento in discarica come punto d’arrivo obbligato dell’intero ciclo, garantendo ai proprietari delle poche piattaforme private in servizio altissimi margini di profitto. Una necessità alimentata dalle continue emergenze che si sono registrate ciclicamente in tutte le città dell’Isola con rifiuti sparsi lungo le strade e gli amministratori costretti a ricorrere alle proroghe e al conferimento in discariche private.
Nelle conclusioni la relazione della commissione presieduta da Fava, esprime un’urgenza: occorre rendere la gestione del ciclo dei rifiuti una risorsa produttiva ed economica ed al tempo stesso un’occasione di dignità civile collettiva. Per farlo, aggiunge il presidente della commissione, è necessaria una risposta delle istituzioni e della politica rapida, alta e ferma alle pratiche corruttive, al prevalere degli interessi privati, a certe inerzie della funzione amministrativa.